
Anna Senese era una ragazza napoletana: abitava nel quartiere Miano, che sta proprio nel mezzo tra 2 delle zone più difficili della città (Scampia e Secondigliano). Erano gli anni della seconda guerra mondiale, quindi per la città passavano molti soldati americani. Anna si innamorò di uno di loro, e non uno qualsiasi: era un afroamericano, James Smith. Il loro amore durò poco: alla fine della guerra lui decise di tornare in patria, e dato che a quei tempi c’era ancora la segregazione razziale sarebbe stato impensabile per lei seguirlo e vivere insieme a lui negli Stati Uniti. Per quanto possa sembrare ridicolo dirlo oggi, la cosa non era semplicemente inaccettabile, era proprio illegale.
Così Anna rimase a Napoli, a crescere da sola il figlio nato da quell’amore. Il piccolo Gaetano aveva nelle vene il sangue dei neri d’America, e i segni di quest’eredità non tardarono a manifestarsi: quando aveva solo 10 anni sentì al juke – box una canzone di Little Richard, e ne rimase folgorato. Quel brano conteneva una parte suonata con lo strumento per eccellenza della musica nera, il sassofono: su Gaetano ebbe l’effetto di una scarica elettrica, perché capì subito che in qualche modo quella musica era legata a lui, scorreva nel suo sangue e in quello di tutti i neri d’America.
Gaetano voleva imparare a suonarlo, quindi convinse sua madre a comprargliene uno. E qua la storia assume dei contorni eroici, perché a quella madre coraggio, che aveva cresciuto da sola un bambino nero in un quartiere difficilissimo di Napoli, era appena stato chiesto di acquistare uno strumento che ancora oggi costa migliaia di euro. Ma lei spese quei soldi, e ne spese degli altri ancora affinché un maestro privato insegnasse a Gaetano come si suonava il sassofono.
Quell’investimento le sarà costato dei sacrifici inimmaginabili, ma si rivelarono soldi ben spesi. Perché Gaetano era bravo, e con il suo nome d’arte (James Senese) cominciò a diventare sempre più conosciuto nell’ambiente di Napoli. Era anche generoso, perché accolse nella sua band un ragazzo che non aveva i soldi neanche per comprarsi il basso, glielo comprò lui con i suoi soldi e gli fece da maestro sia di musica che di vita: quel ragazzo un giorno sarebbe diventato Pino Daniele.
James Senese non è mai diventato famoso come Pino Daniele, ma è comunque molto contento di com’è andata la sua carriera. Lo percepisci dalla passione con cui parla di musica nelle sue interviste, che sono sempre molto piacevoli: infatti riesce a dire cose significative senza mai diventare complicato o intellettuale, ma anzi parlando con la semplicità di chi è cresciuto in un quartiere difficile e non l’ha mai scordato (né tantomeno rinnegato).
La sua storia mi è tornata in mente quando ho visto Miracolo a Sant’Anna. Questo film si apre subito con un giallo: senza alcuna ragione apparente, un impiegato delle Poste di New York ha preso una pistola da sotto il bancone e ha sparato a uno dei clienti in fila. Poi scavando nella vita dell’impiegato un giornalista scopre che ha combattuto la seconda guerra mondiale in Italia, all’interno di una compagnia formata interamente da soldati afroamericani: la soluzione del mistero potrebbe trovarsi proprio in quei lontani giorni passati nel nostro paese, e in particolare in un paesino chiamato Sant’Anna di Stazzema…
Come potete vedere, Miracolo a Sant’Anna è un film – puzzle: mette davanti allo spettatore tante tessere, e lo sfida a farle incastrare l’una con l’altra fino a creare un disegno chiaro e nitido. E quando alla fine vengono tirate le fila della storia ti accorgi che torna tutto alla perfezione, che lo sceneggiatore ha creato un’opera davvero perfetta. Un miracolo appunto. Come le canzoni di James Senese.