Per mio padre era un mito

Quand’ero bambino, Kim Basinger era considerata la donna più bella del mondo. Mio padre andava pazzo per lei, e aveva tutti i suoi film in videocassetta (tra l’altro mia madre le somiglia abbastanza: evidentemente a mio padre piacciono le bionde, e a dispetto di quel che dice il proverbio ne ha anche sposata una).
Dato che da piccoli siamo portati a imitare i nostri genitori, anch’io consideravo Kim Basinger la donna più bella del mondo, e anch’io guardavo spesso i suoi film (tranne quelli non adatti a un bambino, come 9 settimane e 1/2). Tra tutti i suoi film, ce n’era uno in particolare che mi aveva conquistato: Batman. Infatti negli anni in cui ero bambino spopolava un cartone animato dedicato proprio a questo supereroe, quindi per me vederlo in un film in carne e ossa, per di più accanto alla donna per cui andava pazzo mio padre, era davvero il massimo della vita.
Quel film mi era rimasto impresso non soltanto per la fenomenale accoppiata Batman + Kim Basinger, ma anche per il suo cattivo, il Joker. Fino a quel momento, in tutte le storie che mi avevano raccontato il cattivo agiva sempre per un motivo razionale: la strega avvelena Biancaneve perché vuol essere la più bella del reame, il lupo inganna Cappuccetto Rosso perché vuole mangiarsela eccetera. Joker invece si comportava in modo cattivo senza un vero perché, per pura e semplice follia: questo lo rendeva assolutamente imprevedibile, e anche molto inquietante ai miei occhi di bambino.
Insomma, Batman aveva un protagonista fighissimo, la donna più bella del mondo a fargli da spalla e un personaggio molto riuscito a fargli da antagonista: era un film perfetto, e infatti ebbe un successo strepitoso non solo in casa mia, ma in tutto il mondo.
Questo successo consolidò la fama di Kim Basinger (che infatti qualche anno dopo vinse l’Oscar), ma finì per schiacciare l’attore che interpretava Batman, ovvero Michael Keaton. Del resto, dopo che hai interpretato un personaggio così iconico è difficile trovare altri ruoli all’altezza. E infatti lui non li ha trovati fino al 2014, quando girò un film su un attore decaduto che tenta disperatamente di allontanarsi dal ruolo che lo ha reso celebre, il supereroe Birdman: praticamente interpretava se stesso. Siccome gli americani adorano questo mescolarsi di realtà e finzione, Birdman fu il film più premiato dell’anno, e permise a Michael Keaton di tornare sulla cresta dell’onda.
Dato che il suo Batman è stato un pilastro della mia infanzia, potete immaginare come sono andato in estasi quando ho saputo che Michael Keaton avrebbe interpretato di nuovo questo personaggio. Stavolta il protagonista sarebbe stato un altro supereroe (Flash), e Batman sarebbe apparso soltanto per fargli da spalla; tuttavia, per me la sola idea di vederlo di nuovo in quei panni bastava a mandarmi in brodo di giuggiole, perché mi riportava a quand’ero bambino, e mi chiedevo se per lui fosse più eccitante indossare il mantello di Batman o spupazzarsi Kim Basinger. Probabilmente la seconda.
Adesso che l’ho visto, posso dirvi che The Flash ha superato le mie aspettative. Credevo che mi sarebbe piaciuto solo per quei pochi minuti in cui sarebbe apparso Batman, invece quella è solo la ciliegina sulla torta, perché il film ha tanti altri motivi di interesse. Potrei elencarveli uno per uno, ma vi rovinerei il piacere della visione: di conseguenza preferisco limitarmi a dire che è uno dei cinecomics più belli che abbia mai visto, e ve lo raccomando ad occhi chiusi.
P.S.: E voi? Qual è stato il film simbolo della vostra infanzia?

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Una ragazza deliziosa

Sono cresciuto negli anni 90, e quello è stato semplicemente il decennio di Beverly Hills 90210. Per chi non la conoscesse, è stata una delle primissime serie tv ad avere come protagonisti non gli adulti, ma un gruppo di adolescenti, dei quali veniva raccontata la vita scolastica e sentimentale. In quegli anni ero ancora uno studente e sperimentavo i miei primi interessi amorosi, quindi per me l’identificazione con i personaggi fu totale. In particolare mi sentivo legato al personaggio di Brandon: era il classico bravo ragazzo, l’amico che tutti vorremmo avere e il fidanzato che ogni genitore vorrebbe per le proprie figlie. Se oggi sono diventato la persona che sono lo devo non soltanto all’educazione dei miei genitori, ma anche al fatto di essere cresciuto con questo modello morale, e questo la dice lunga sull’influenza culturale che ha avuto Beverly Hills 90210.
Questa serie tv è finita da vent’anni, e da allora sono sempre alla ricerca di qualcosa che me la ricordi. Qualsiasi libro, film o serie tv che sia ambientato nei licei mi attira come una calamita, e mi manda quasi sempre in brodo di giuggiole. E’ andata così anche con Heartbreak High.
Questa serie tv è ambientata in un liceo australiano, e anch’essa si focalizza sulle vicende scolastiche e sentimentali di un gruppo di adolescenti. Tuttavia, il tono è molto più estremo rispetto a Beverly Hills 90210. Ad esempio, anche in quella serie i personaggi facevano sesso tra di loro, ma quel rapporto sessuale avveniva a seguito di un lungo e solido fidanzamento, non è che 2 liceali si incontravano per caso a una festa e la sera stessa decidevano di consumare. In Heartbreak High invece molti personaggi sembrano avere il sesso come unico pensiero e obiettivo, e pur di soddisfare le proprie voglie saltellano da un letto all’altro con grande leggerezza.
Inoltre, anche in Beverly Hills 90210 si parlava di omosessualità, ma il tema era trattato con delicatezza e con garbo (del resto erano gli anni 90, e il tema veniva percepito ancora come scabroso). In Heartbreak High invece c’è un personaggio che ostenta la propria omosessualità nella maniera più plateale possibile, è un Malgioglio in versione teen ager per intenderci.
Nonostante questi difetti, Heartbreak High è stata una visione molto piacevole per me. Perché anche se gli sceneggiatori hanno esagerato in qualche punto, hanno il merito di aver creato un personaggio davvero adorabile, quello di Amerie. Questa ragazza è in pratica la versione femminile di Brandon: commette qualche errore, ma è comunque buona come il pane, e ognuno di noi vorrebbe averla come amica. Lei è quella ragazza che vorresti chiamare quando ti va tutto storto, e proprio per questo hai bisogno di qualcuno che si sieda accanto a te e ti tiri su il morale con la sua sola presenza. Episodio dopo episodio mi affezionavo sempre di più a lei, e speravo con tutto me stesso che alla fine della serie lei sarebbe arrivata a realizzare tutti i suoi sogni. Andrà davvero così? Non posso dirvelo, naturalmente. Posso solo consigliarvi di vedere Heartbreak High: ne sarete deliziati.

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Io e Linda

Nel condominio in cui abitavo da piccolo c’erano soltanto 2 bambini: io e la mia amica Linda. Lei aveva uno stereo in casa, e io no: di conseguenza quando volevo ascoltare la musica prendevo il cd con le sigle dei cartoni di Cristina D’Avena, le suonavo il campanello e le chiedevo se potevo metterlo sul suo stereo. Lei non mi diceva mai di no, anzi era sempre contentissima di vedermi. Anche i suoi non erano infastiditi dal fatto che io gli piombassi in casa senza alcun preavviso, perché i nostri genitori erano amicissimi tra loro, e quindi eravamo un’unica grande famiglia.
Purtroppo questa situazione non durò a lungo, perché quand’ero ancora un bambino i miei genitori cambiarono casa. E di Linda ho perso le tracce per quasi vent’anni.
Poi nel 2014 abbiamo partecipato entrambi ad un concorso pubblico. Quando ci siamo presentati alla prova scritta lei mi ha riconosciuto, è venuta a salutarmi e da allora la nostra amicizia è ripartita. Ricordo ancora con molto piacere il giorno in cui ci siamo ritrovati, perché si è riaperta una bella pagina del mio passato, ed era una pagina che ricordavo con grande tenerezza.
A Na Hee – Do è successa una cosa simile. Sua figlia ha ritrovato i diari che lei aveva scritto vent’anni prima, e al loro interno non erano annotati dei fatterelli qualsiasi: su quelle pagine Na Hee – Do ha parlato del suo primo amore, delle sue amicizie più care e del percorso che l’ha portata a diventare una campionessa di scherma. Ognuno di questi aspetti mi ha regalato profonde emozioni: mi sono sciolto dalla tenerezza quando Na Hee – Do ha dato il suo primo bacio, mi sono divertito come un matto quando lei e i suoi amici sono andati insieme al mare, sono rimasto con il fiato sospeso ogni volta che doveva affrontare una gara importante.
Se i diari di Na Hee – Do mi hanno coinvolto così tanto, è stato perché quelle pagine sono piene di amore. L’affetto di cui è capace questa ragazza non conosce limiti, e lei lo dona senza risparmio a tutti coloro che la circondano: non solo il suo fidanzato, ma anche i suoi amici e la sua allenatrice di scherma. E quest’affetto lei non lo dimostra in maniera sdolcinata, ma con gesti toccanti e significativi: ad esempio, quando batte la sua migliore amica in una gara importante scoppia a piangere insieme a lei, perché il dispiacere di averla sconfitta supera la gioia di aver vinto una medaglia d’oro. E’ questo il senso della vera amicizia: mettere il bene degli altri davanti al proprio.
Di tutti i filoni narrativi presenti nel diario di Na Hee – Do, quello che mi ha coinvolto di più è quello relativo al suo primo amore. Le parti più belle della sua storia ruotano tutte intorno al suo fidanzato, e anch’esse non scivolano mai nel melenso: pur essendo molto giovane, Na Hee – Do è già capace di amare in modo profondo e maturo, e lo stesso vale per il suo ragazzo. Il titolo della serie tv (Venticinque e ventuno) fa riferimento alla loro differenza d’età, ed è un titolo ingannevole, perché fa pensare che questa serie parli soltanto della loro relazione. In realtà parla anche di tanto altro, e lo fa in modo così coinvolgente che non riuscivo a staccarmi dallo schermo. Ho passato pomeriggi e serate intere a guardare un episodio dietro l’altro, e anche dopo averla vista tutta ci ho pensato sopra per giorni e giorni, commuovendomi ogni volta a ripensare alle scene più belle.
Dopo aver scoperto Venticinque e ventuno non sono più la stessa persona, perché vederla mi ha cambiato in meglio. Adesso do ancora più importanza e più affetto alle persone che mi stanno accanto, e lotto con ancora più determinazione per inseguire i miei sogni. E se ha avuto quest’effetto su di me che sono un adulto, immaginate quanto potrà essere di ispirazione per chi ha la stessa età della protagonista, e sta vivendo le stesse esperienze che racconta lei nel suo diario.
Quando ho iniziato a vedere Venticinque e ventuno, la prima persona a cui l’ho consigliata è stata proprio la mia amica Linda. La migliore amica di Na Hee – Do le somiglia abbastanza come carattere, quindi sono convinto che questa serie le piacerebbe moltissimo. Guardatela anche voi: vi resterà dentro per sempre.

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Lo scandalo Michelle Yeoh

Fino al 2006 la notte degli Oscar si svolgeva in un modo ben preciso: c’era un film che era piaciuto più di tutti gli altri, quindi quel film si prendeva quasi tutte le statuette e agli altri restavano soltanto le briciole.
Poi, appunto nel 2006, la notte degli Oscar andò in modo diverso. C’era un film che era piaciuto più di tutti gli altri (I segreti di Brokeback Mountain), ma i giurati dell’Academy, tradizionalmente piuttosto conservatori, proprio non ne volevano sapere di riempire d’oro un film che parlava di 2 cowboy gay. Così optarono per una soluzione innovativa: dare i 4 Oscar più “appariscenti” (miglior film, miglior regia, miglior attore e miglior attrice) a 4 film diversi, in maniera tale da non far risaltare nessun film rispetto ad un altro.
Quella che nel 2006 era un’innovazione con il tempo è diventata un’abitudine: se escludiamo il 2009 (anno in cui vinse tutto The Millionaire), l’Academy da allora ha sempre cercato di dare gli Oscar a più film possibile, evitando di premiarne solo uno e lasciare a bocca asciutta tutti gli altri. Questo anche perché nel frattempo è entrato in vigore il politicamente corretto, e quindi lasciare a zero premi un film ha cominciato a venire vista come una mossa offensiva (di questo passo diventerà offensivo anche dire Ciao senza aggiungere Come stai).
Poi è arrivato Everything everywhere all at once. Per la prima volta dai tempi di The Millionaire, un film ha fatto letteralmente impazzire sia il pubblico che la critica, e quest’amore è stato così travolgente da rivoluzionare le regole non scritte dell’Academy, facendola tornare al passato: come succedeva una volta, c’è stato un film pigliatutto che ha conquistato tutte le statuette più importanti, lasciando a zero dei film che pure erano piaciuti tantissimo alla critica (come Elvis, The Fabelmans e Gli spiriti dell’isola).
Di tutti gli Oscar che ha vinto, mi ha lasciato sbigottito in particolare quello a Michelle Yeoh, perché quando commentai le nomination ero sicuro al 100% che avrebbe vinto Ana de Armas. Non tanto per lei, quanto piuttosto perché era l’ultima possibilità per Hollywood di dare una sorta di Oscar indiretto e postumo al suo mito Marilyn Monroe. Tra l’altro, così come l’anno scorso l’Oscar di Will Smith è stato in bilico per la brutta faccenda dello schiaffo, quest’anno l’Oscar di Michelle Yeoh è in bilico per uno scandalo social: 4 giorni fa lei ha condiviso su Instagram un articolo che invitava a votare lei anziché Cate Blanchett, e così facendo ha violato l’articolo 11 dell’Academy, che vieta ai nominati di farsi promozione presentando il proprio film o la propria prestazione come migliori rispetto agli altri candidati. Forse la grazieranno perché le votazioni per gli Oscar si sono svolte tra il 2 e il 7 Marzo, e lei ha condiviso l’articolo su Instagram il 9, quando tutti i giurati dell’Academy avevano già espresso il loro voto.
Comunque vada a finire, questo è già il secondo anno di fila che un attore si rovina la festa da solo: mi dispiace per Will Smith e per Michelle Yeoh, l’Academy invece probabilmente si frega le mani, perché queste polemiche riaccendono l’attenzione attorno alla notte degli Oscar, che prima di questi incidenti aveva cominciato a venire seguita da sempre meno spettatori. Io invece non ho mai smesso di vederla in diretta e di commentarla, e non me ne sono mai pentito, neanche negli anni in cui hanno perso tutti quelli per cui tifavo. Anche quest’anno è andata così: tifavo per Brendan Gleeson e The Batman, e purtroppo sono rimasti entrambi a bocca asciutta.
E voi per chi tifavate? E cosa ne pensate di queste folli premiazioni?

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Una scelta difficile

L’America è considerata la terra delle opportunità, e per certi versi lo è davvero. Ad esempio, in Italia se vuoi laurearti devi studiare tanto ed essere intelligente: se manca uno di questi presupposti, puoi già ritenerti fortunato se riesci a strappare un diploma. In America invece hai un’altra carta da giocare: lo sport. Perché lì non importa se sei stupido come una capra e non hai mai aperto un libro in vita tua: se sei bravo in uno sport, allora le porte dell’università si spalancheranno davanti a te, e la tua marcia trionfale verso la laurea è praticamente assicurata. Non solo: gli studenti più bravi nello sport dopo la laurea diventano degli atleti professionisti, a patto ovviamente che una squadra sia disposta a metterli sotto contratto.
Questo è esattamente ciò che è successo a Tristan Turner. Gioca a basket in un’università di Los Angeles, e in effetti una squadra interessata a lui ci sarebbe: i Washington Wizards. Venire ingaggiati da una squadra dell’NBA è come vincere alla lotteria, quindi ci aspetteremmo che lui faccia i salti di gioia, e si imbarchi a gambe levate sul primo volo per Washington. Invece la questione non è così semplice, perché Washington e Los Angeles distano più di 4.000 km, e quindi se lui firmasse il contratto dovrebbe abbandonare per sempre tutto: famiglia, amici e fidanzata.
Alla luce di questo, Tristan deve fare una scelta difficile: giocare nell’NBA perdendo tutto ciò che ha costruito fino a quel momento, oppure rinunciare al successo per rimanere accanto a tutti i suoi affetti. Cosa sceglierà di fare?
Il motivo principale per cui ho apprezzato così tanto la storia di Tristan è il fatto che sia profondamente realistica. Perché nella vita reale succede davvero che la nostra vita lavorativa finisca per condizionare la nostra esistenza, portandoci a prendere delle decisioni per certi versi vantaggiose, ma anche dolorose dal punto di vista affettivo. Io stesso ho dovuto fare una scelta di questo tipo, quando il lavoro mi portò a trasferirmi dalla sera alla mattina in un paese a 350 km da casa mia. Certo, erano 350 e non 4.000, ma ho comunque avvertito quella sensazione di smarrimento che provi quando ti rendi conto che abiterai in un posto dove non conosci nessuno, e dovrai ricostruire la tua vita da zero. Tristan farà la mia stessa scelta, o invece preferirà rimanere dov’è e continuare la vita di sempre? Non posso dirvelo, naturalmente. Posso soltanto consigliarvi di leggere Million Dollar Boyfriend di Connie Furnari: ne sarete deliziati.

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Una coppia coraggiosa

Il 2016 è stato un anno particolare per me. L’anno prima mi ero trasferito in Liguria per lavoro, e mi ero ambientato benissimo fin dal primo giorno: di conseguenza ero convinto che ci sarei rimasto non dico in eterno, ma per un bel pezzo sicuramente sì. Invece già a Settembre 2016 trovai un altro impiego vicino a casa, tra l’altro a condizioni migliori: in Liguria mi avevano fatto un contratto annuale, in Toscana mi avrebbero fatto un contratto a tempo indeterminato. Di conseguenza dovetti chiamare il mio datore di lavoro ligure per dirgli che non sarei più tornato da lui: fu una telefonata straziante, perché tra di noi si era creato un rapporto di stima e di affetto reciproci, e quindi mai avrei immaginato di doverlo interrompere dopo un solo anno.
A Ottobre 2016 ero tornato a casa da meno un mese, ed ero in una fase contrastante della mia vita. Da un lato c’era la contentezza per aver ottenuto un privilegio che per la mia generazione è diventato più unico che raro (un contratto a tempo indeterminato), dall’altro c’era ancora una fortissima nostalgia per la Liguria. Anzi, devo dirvi la verità: non era una fase contrastante, era una fase triste, perché la nostalgia prevaleva su qualsiasi altro sentimento.
Mentre ero in questa fase, andai al cinema a vedere un film piuttosto originale: Lettere da Berlino. Raccontava la storia vera di 2 tedeschi (marito e moglie) che cercarono eroicamente di opporsi al nazismo. Voi mi direte: di film sul nazismo ne esce almeno uno l’anno, cos’aveva quello di originale? La risposta è molto semplice: non cercava facili trucchetti per attirare in sala gli spettatori. Ad esempio, ad interpretare i 2 coniugi non avevano preso 2 attori belli come il sole, ma un’attrice più brava che bella (Emma Thompson) e un omaccione corpulento e grosso come una montagna, Brendan Gleeson. E’ chiaro che se avessero preso John Travolta e Jennifer Lopez avrebbero incassato molti più dollari, ma non era questo l’obiettivo di quel film: il vero scopo di chi l’ha realizzato era prendere 2 attori che meglio di tutti potessero trasmettere la passione e l’idealismo che animarono quella coraggiosissima coppia. E infatti i 2 attori furono entrambi perfetti, soprattutto Brendan Gleeson.
Dopo aver visto quel film così bello andai a cena in un ristorante vicino al cinema. Ci mangiai divinamente, e fu la degna chiusura di una serata perfetta, la prima sera in cui sono stato bene da quando ero tornato in Toscana. Già dal giorno dopo smisi di pensare alla Liguria: il mio riambientamento a casa era definitivamente completato.
Alla luce di questo, sono STRAFELICE che oggi Brendan Gleeson sia stato candidato all’Oscar. Tra l’altro non me l’aspettavo, perché come vi dicevo prima dal punto di vista fisico è l’esatto opposto dei divi che vediamo sfilare normalmente sui red carpet. Evidentemente il suo talento è così gigantesco che è riuscito a farsi notare comunque dai giurati dell’Academy.
Per quanto riguarda le altre nomination, non ho molto da dire, perché ho visto solo 2 dei film candidati: The Batman e Top Gun: Maverick. Il primo ha strameritato le sue nomination, il secondo invece non mi è piaciuto. Ad essere sincero non avevo apprezzato neanche il primo Top Gun, perché entrambi i film sono strapieni di scene girate in volo, e io le ho trovate tutte di una noia micidiale. Non ho proprio capito l’entusiasmo del pubblico e della critica per questo film, e a mio giudizio rimarrà a bocca asciutta.
E allora chi li vincerà questi Oscar? Beh, sui premi più importanti non ho dubbi: li vince The Fabelmans. Il motivo è molto semplice: Spielberg è già al secondo flop consecutivo, quindi se non fa il pieno di statuette farà molta fatica a trovare qualche produttore disposto a investire sul suo prossimo film. I giurati dell’Academy lo sanno benissimo, e quindi correranno sicuramente in soccorso del loro beniamino.
Per quanto riguarda gli attori, sappiamo bene che di norma l’Academy tende a premiare più il personaggio che l’interprete, e quest’anno ci sono stati i biopic di 2 icone americane come Elvis Presley e Marilyn Monroe: di conseguenza non mi stupirei affatto se a vincere fossero i 2 attori che li interpretano (rispettivamente Austin Butler e Ana de Armas). L’unico che potrebbe soffiare la statuetta ad Austin Butler a mio giudizio è Brendan Fraser, perché l’Academy adora gli attori che si imbruttiscono per un ruolo.
Per quanto riguarda le altre categorie, la mia impressione è che non ci siano stati esclusi eccellenti, né tra i film né tra gli attori. E infatti l’unica polemica è montata per le esclusioni di Viola Davis (The Woman King) e Danielle Deadwyler (Till) dalla categoria miglior attrice, in favore della sconosciutissima Andrea Riseborough (To Leslie). Tuttavia, parliamoci chiaro: quell’Oscar andrà ad Ana de Armas, e quindi poco conta chi sono le altre 4 candidate insieme a lei.
Per quanto riguarda me, come detto tiferò per Brendan Gleeson e per The Batman. Perderò su tutta la linea? Può darsi, ma la notte degli Oscar ha comunque un tale fascino che ti fa piacere seguirla anche quando sai che i tuoi beniamini non hanno grandi chances di vittoria.
E voi? Per quali attori e quali film tiferete alla prossima notte degli Oscar?

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I 10 film più belli che ho visto nel 2022

Che anno è stato il 2022 per il cinema? Sicuramente un anno di rinascita, perché finalmente abbiamo potuto ricominciare a frequentare le sale quando volevamo, senza temere che chiudessero per un nuovo lockdown proprio mentre avevamo in programma di andarci. Nonostante ciò, quest’anno di film ne ho visti proprio pochini (33 in tutto), e questi sono i migliori 10.

10) Una famiglia vincente – King Richard: E’ un biopic molto particolare, perché si focalizza non sulle grandi tenniste Venus e Serena Williams, ma sul loro papà, che ha avuto un’influenza determinante sulla carriera di entrambe. Questa scelta originale ha pagato, dato che il film ha avuto un successo strepitoso sia di pubblico che di critica. Una famiglia vincente – King Richard non è bello come Borg McEnroe, ma si merita comunque un posto in questa Top 10.

9) Songbird: Questo film è una sorta di estremizzazione di ciò che abbiamo vissuto durante il lockdown, perché lo sceneggiatore si immagina un futuro prossimo in cui le regole di contenimento del contagio saranno ancora più dure di quanto non lo siano state durante la prima ondata. In questo contesto distopico si intrecciano le vicende di vari personaggi: uno di essi è la cantante che dà il titolo al film (Songbird significa “uccello canterino”), e curiosamente è anche uno dei personaggi che appare di meno. Riesce comunque a farsi notare, perché è interpretato dalla bellissima Alexandra Daddario (l’attrice nella foto).

8) Memory: I film d’azione con Liam Neeson sono tutti uguali, sembrano fatti con lo stampino. Tuttavia, ogni tanto gli capita di girarne qualcuno più originale e più bello del solito: qualche anno fa aveva fatto centro con Run All Night, quest’anno ha fatto il bis con Memory.

7) Potere assoluto: Da regista il mio film preferito di Clint Eastwood è Million Dollar Baby. Come attore ha raggiunto l’apice in Di nuovo in gioco. Di conseguenza Potere assoluto non è il suo film migliore, né come attore né come regista. E in fondo non vuole neanche esserlo, perché qui Clint Eastwood non voleva realizzare un capolavoro, ma un thriller duro e puro, e ci riesce alla stragrande: guardatelo, non ve ne pentirete.

6) Il divo: Questo film riesce in una doppia impresa: riassumere in pochi minuti la vita di un uomo che ha condizionato 70 anni della storia d’Italia (Giulio Andreotti) e al contempo mettere in luce tutti gli aspetti della sua personalità, uno su tutti un talento innato per le frasi fulminanti. Unico neo: il troppo poco spazio dato ad un’altra figura altrettanto influente, quella di Cossiga.

5) Marry me – Sposami: Per i motivi spiegati qui.

4) Cheerleader per sempre: Fare un film demenziale è molto più difficile di quel che sembra, perché chi lo gira si muove sulla sottile linea che separa il trash divertente da quello irritante e disgustoso. Cheerleader per sempre rientra a pieno titolo nella categoria del trash divertente: guardatelo, vi farà spanciare dalle risate.

3) Il pianista: In linea generale evito i film che durano più di 2 ore. Ritengo che 120 minuti siano più che sufficienti per raccontare una storia, e quindi se un film dura di più è probabile che sia pieno di momenti morti e noiosi. Il pianista è l’eccezione che conferma la regola, perché riesce a mantenere un livello altissimo di qualità dal primo all’ultimo minuto: un vero gioiello.

2) Purple Hearts: Devo dire la verità: quando ho iniziato a vederlo pensavo che mi sarei goduto un film romantico uguale a cento altri. E invece Purple Hearts è molto più di questo, perché riesce a trattare tanti altri temi oltre all’amore, e lo fa sempre in maniera profonda: nessuno stupore che sia stato il film più visto su Netflix per 3 settimane di fila.

1) The Batman: Prima di Nolan i cinecomics erano dei film d’azione senza alcuna pretesa artistica, dopo di lui abbiamo scoperto che era possibile fare arte con la A maiuscola anche parlando di un supereroe. Proprio per questo eravamo convinti che con il Batman di Nolan i cinecomics avessero raggiunto la cima della montagna, e non avrebbero mai più neanche sfiorato quei livelli di qualità. Poi è arrivato un altro Batman, quello di Matt Reeves, e ci siamo dovuti ricredere: forse questo film non ha un cattivo iconico come il Joker di Heath Ledger, ma è destinato a entrare anch’esso nella storia del cinema.

E voi? Avete visto qualcuno di questi film? E quali sono i film più belli che avete visto nel 2022?

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Una vera amica

Burt, Harold e Valerie si sono conosciuti ad Amsterdam durante la guerra. Burt e Harold erano dei soldati, e Valerie era la dottoressa che li ha curati quando si sono infortunati entrambi: dato che erano degli infortuni piuttosto seri, Burt e Harold sono rimasti a lungo ricoverati in ospedale, e hanno avuto modo di stringere con Valerie un’amicizia a 3 più profonda che mai.
Poi la guerra è finita, e i 3 sono tornati in America. Burt e Harold sono rimasti amicissimi, Valerie invece li ha persi di vista: probabilmente perché li associava ad una fase piuttosto brutta della sua vita, e quindi voleva solo dimenticare. Poi però Burt e Harold vengono accusati ingiustamente di omicidio: a quel punto, siccome il vero amico si vede nel momento del bisogno, Valerie riemerge dal nulla, e si batte come una leonessa per trovare il vero colpevole. Ma chi è il vero colpevole? E come farà Valerie a stanarlo?
Come potete vedere, Amsterdam è molto più di un film giallo. Sì, la trama ruota attorno ad un delitto e l’indagine è molto coinvolgente, ma in realtà il film parla di amicizia, e a questo proposito lancia un messaggio splendido: se ci sono i tuoi amici ad aiutarti, niente è impossibile. Con la solidarietà, l’altruismo e la fiducia reciproca, anche l’impresa più disperata ha qualche possibilità di riuscita. Burt e Harold sembrano spacciati, perché tutte le prove puntano contro di loro; tuttavia hanno un’amica su cui contare, e questo cambia tutto, perché non c’è nulla di più potente di qualcuno che si batte per le persone a cui vuole bene.
Questo film sembra fatto apposta per me. Un po’ perché anch’io do un’enorme importanza all’amicizia, un po’ perché una delle mie più care amiche si chiama proprio Valeria (le ho anche dedicato un post anni fa). Tuttavia credo che ognuno di noi si possa identificare in questa storia, perché tutti prima o poi ci siamo fatti in 4 per tirare un amico fuori dai guai, e abbiamo desiderato che qualcuno ci tendesse la mano quando nei guai ci siamo finiti noi. Proprio per questo ho fatto un tifo sfegatato per Valerie, e ho sperato con tutto me stesso che alla fine lei riuscisse a trovare la chiave per risolvere il mistero. Le sue fatiche saranno premiate? Non posso dirvelo, naturalmente. Posso solo consigliarvi di vedere Amsterdam: ne sarete deliziati.
P.S.: E voi? Qual è stata la prova di amicizia più bella che abbiate mai dato o ricevuto?

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8 uomini che hanno cambiato la storia

Se pensate a 5 città degli Stati Uniti, probabilmente nessuna di esse sarà Atlanta. Eppure quella metropoli è uno dei polmoni economici dell’America. E’ sempre stata piuttosto ricca, ma il boom vero e proprio l’ha avuto negli anni 40, per un motivo curioso: a quei tempi ad Atlanta non esisteva nessun sindacato, e quindi gli imprenditori americani, pensando che in quella città avrebbero avuto meno noie con gli operai, cominciarono ad aprire o spostare lì tutte le loro fabbriche (ancora oggi la Coca Cola ha la sua sede legale proprio ad Atlanta).
Ovviamente, quando cominciarono ad aprire tutte queste fabbriche, una gran fiumana di disoccupati americani si fiondò ad Atlanta, nella speranza di trovare finalmente lavoro. Tra quei disoccupati c’erano anche molti afroamericani, e lì cominciarono i guai: infatti Atlanta è situata nel profondo Sud degli Stati Uniti, una delle zone più razziste del mondo, e quindi la popolazione locale non vide certo di buon occhio l’arrivo di tutti questi neri dall’oggi al domani. Perfino il sindaco della città (William B. Hartsfield) disse chiaro e tondo che “La popolazione negra sta crescendo a passi da gigante, e sta rosicchiando sempre più territori ai bianchi di Atlanta”.
Questa difficile convivenza raggiunse il massimo della tensione nel 1948, quando la polizia di Atlanta assunse i primi poliziotti neri nella storia della città. Erano soltanto 8, e avevano dei poteri ristrettissimi: potevano lavorare soltanto nei quartieri neri e non gli era concesso fare indagini, soltanto arresti (a patto ovviamente che tali arresti riguardassero dei cittadini neri: un bianco non potevano toccarlo, neanche se lo vedevano commettere un reato con i loro occhi). 2 di loro (Boggs e Smith) inizialmente accettano senza problemi queste limitazioni: per loro è già un grande risultato e un grande orgoglio poter dire di essere dei poliziotti.
Poi una sera trovano il cadavere di una ragazza nera in mezzo ai rifiuti. Dato che non possono fare indagini, in teoria dovrebbero limitarsi ad informare i loro colleghi bianchi e dimenticarsi dell’accaduto; tuttavia, sapendo che ai loro colleghi bianchi non importa nulla di una ragazza nera morta in un vicolo, decidono di andare oltre i limiti del loro potere, e di mettersi in prima persona sulle tracce dell’assassino. Ma chi è quest’assassino? Chi ha ucciso Lily Ellsworth?
Come avrete capito, La città è dei bianchi di Thomas Mullen è più di un semplice giallo. Sì, la trama ruota attorno ad un delitto e l’indagine è molto coinvolgente, ma il vero obiettivo dell’autore è cogliere il momento esatto in cui l’America comincia a cambiare, passando dalla segregazione totale dei neri alla loro convivenza coi bianchi. Questo processo raggiunse l’apice negli anni 60 con Martin Luther King, ma il primo passo è stato nel 1948, quando la città di Atlanta (paradossalmente una delle più razziste d’America) permise a 8 cittadini neri di indossare l’uniforme della polizia. Partendo da questo fatto storico reale, Thomas Mullen ha scritto un libro dalla trama davvero geniale: leggetelo anche voi, non ve ne pentirete.

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Una scelta difficile

La vita di Kate Middleton cambiò per sempre nel 2001, quando incontrò il principe William. Entrambi avevano appena cominciato l’università, e il destino li aveva fatti finire nello stesso ateneo: William era certamente abituato alla bellezza, eppure notò ugualmente quella giovane ragazza inglese in mezzo a mille altri studenti, e cominciò da subito a corteggiarla. Qualcuno potrebbe pensare che Kate abbia avuto la classica “botta di culo”: io invece penso che abbia avuto in sorte, se non una condanna, quantomeno un fardello molto difficile da sopportare. Infatti, se è vero che accettando di fidanzarsi con William (e successivamente di farci una famiglia) si è assicurata soldi e fama, dall’altro ha dovuto rinunciare per sempre a qualcosa di molto più prezioso: la normalità. Se una donna si frequenta con un vip di altro tipo, come un politico o un calciatore, allora può comunque sperare di fare una vita relativamente normale, e invocare il proprio diritto alla privacy; tutto questo è impensabile se invece ti frequenti con il futuro re d’Inghilterra. A quel punto i paparazzi ti seguiranno in ogni dove, e i giornalisti andranno a scavare in ogni minima piega del tuo passato e del tuo presente. Non solo: se entri a far parte della famiglia reale, poi devi seguire una rigidissima e snervante procedura per fare qualsiasi cosa, quindi dovrai chiedere il permesso e avvisare con largo anticipo anche se vuoi solo andare a fare una passeggiata per strada. Una situazione logorante anche per chi ci convive da tutta la vita, figuriamoci per lei, che fino a quel momento aveva condotto una vita totalmente diversa. Kate Middleton infatti non era una ragazza abituata a navigare nell’oro e a frequentare le grandi metropoli: i suoi genitori erano dei normalissimi dipendenti di un aeroporto, e vivevano con lei e altri 2 figli in un paesino di 2.000 anime (Bucklebury). Passare di punto in bianco da una vita di provincia come questa all’estenuante vita di corte dev’essere stato uno scombussolamento enorme per lei: di conseguenza, se ha deciso di tenere botta e di rassegnarsi a sopportare a vita questo stress, a mio giudizio non l’ha fatto perché è una furbetta che ha visto un’opportunità e ci si è gettata a capofitto, ma perché amava così tanto William da essere disposta a sobbarcarsi tutto questo pur di stare con lui.
Ho pensato a lei quando ho visto un film che praticamente racconta la sua storia a parti invertite: Marry Me – Sposami. Nel film in questione una cantante di fama mondiale (nientemeno che Jennifer Lopez) intraprende una relazione con un uomo totalmente estraneo al mondo dello spettacolo, da lei incontrato casualmente ad un suo concerto. E’ quindi una circostanza molto simile a quella che vi ho descritto prima: tutti lo invidiano perché pensano che abbia avuto un gran colpo di fortuna, lui invece si accorge ben presto di aver firmato la sua condanna, abbracciando uno stile di vita molto meno piacevole di quel che si potrebbe pensare. Come andrà a finire questa storia? Lui saprà sopportare tutto questo per amore, oppure dimostrerà meno coraggio di Kate Middleton e tornerà volentieri a fare una vita normale? Non posso dirvelo, naturalmente. Posso solo consigliarvi di vedere Marry Me – Sposami: vi farà ridere, commuovere e riflettere sull’amore, e quindi vi resterà dentro per sempre.

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