Lo scandalo Michelle Yeoh

Fino al 2006 la notte degli Oscar si svolgeva in un modo ben preciso: c’era un film che era piaciuto più di tutti gli altri, quindi quel film si prendeva quasi tutte le statuette e agli altri restavano soltanto le briciole.
Poi, appunto nel 2006, la notte degli Oscar andò in modo diverso. C’era un film che era piaciuto più di tutti gli altri (I segreti di Brokeback Mountain), ma i giurati dell’Academy, tradizionalmente piuttosto conservatori, proprio non ne volevano sapere di riempire d’oro un film che parlava di 2 cowboy gay. Così optarono per una soluzione innovativa: dare i 4 Oscar più “appariscenti” (miglior film, miglior regia, miglior attore e miglior attrice) a 4 film diversi, in maniera tale da non far risaltare nessun film rispetto ad un altro.
Quella che nel 2006 era un’innovazione con il tempo è diventata un’abitudine: se escludiamo il 2009 (anno in cui vinse tutto The Millionaire), l’Academy da allora ha sempre cercato di dare gli Oscar a più film possibile, evitando di premiarne solo uno e lasciare a bocca asciutta tutti gli altri. Questo anche perché nel frattempo è entrato in vigore il politicamente corretto, e quindi lasciare a zero premi un film ha cominciato a venire vista come una mossa offensiva (di questo passo diventerà offensivo anche dire Ciao senza aggiungere Come stai).
Poi è arrivato Everything everywhere all at once. Per la prima volta dai tempi di The Millionaire, un film ha fatto letteralmente impazzire sia il pubblico che la critica, e quest’amore è stato così travolgente da rivoluzionare le regole non scritte dell’Academy, facendola tornare al passato: come succedeva una volta, c’è stato un film pigliatutto che ha conquistato tutte le statuette più importanti, lasciando a zero dei film che pure erano piaciuti tantissimo alla critica (come Elvis, The Fabelmans e Gli spiriti dell’isola).
Di tutti gli Oscar che ha vinto, mi ha lasciato sbigottito in particolare quello a Michelle Yeoh, perché quando commentai le nomination ero sicuro al 100% che avrebbe vinto Ana de Armas. Non tanto per lei, quanto piuttosto perché era l’ultima possibilità per Hollywood di dare una sorta di Oscar indiretto e postumo al suo mito Marilyn Monroe. Tra l’altro, così come l’anno scorso l’Oscar di Will Smith è stato in bilico per la brutta faccenda dello schiaffo, quest’anno l’Oscar di Michelle Yeoh è in bilico per uno scandalo social: 4 giorni fa lei ha condiviso su Instagram un articolo che invitava a votare lei anziché Cate Blanchett, e così facendo ha violato l’articolo 11 dell’Academy, che vieta ai nominati di farsi promozione presentando il proprio film o la propria prestazione come migliori rispetto agli altri candidati. Forse la grazieranno perché le votazioni per gli Oscar si sono svolte tra il 2 e il 7 Marzo, e lei ha condiviso l’articolo su Instagram il 9, quando tutti i giurati dell’Academy avevano già espresso il loro voto.
Comunque vada a finire, questo è già il secondo anno di fila che un attore si rovina la festa da solo: mi dispiace per Will Smith e per Michelle Yeoh, l’Academy invece probabilmente si frega le mani, perché queste polemiche riaccendono l’attenzione attorno alla notte degli Oscar, che prima di questi incidenti aveva cominciato a venire seguita da sempre meno spettatori. Io invece non ho mai smesso di vederla in diretta e di commentarla, e non me ne sono mai pentito, neanche negli anni in cui hanno perso tutti quelli per cui tifavo. Anche quest’anno è andata così: tifavo per Brendan Gleeson e The Batman, e purtroppo sono rimasti entrambi a bocca asciutta.
E voi per chi tifavate? E cosa ne pensate di queste folli premiazioni?

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Una scelta difficile

L’America è considerata la terra delle opportunità, e per certi versi lo è davvero. Ad esempio, in Italia se vuoi laurearti devi studiare tanto ed essere intelligente: se manca uno di questi presupposti, puoi già ritenerti fortunato se riesci a strappare un diploma. In America invece hai un’altra carta da giocare: lo sport. Perché lì non importa se sei stupido come una capra e non hai mai aperto un libro in vita tua: se sei bravo in uno sport, allora le porte dell’università si spalancheranno davanti a te, e la tua marcia trionfale verso la laurea è praticamente assicurata. Non solo: gli studenti più bravi nello sport dopo la laurea diventano degli atleti professionisti, a patto ovviamente che una squadra sia disposta a metterli sotto contratto.
Questo è esattamente ciò che è successo a Tristan Turner. Gioca a basket in un’università di Los Angeles, e in effetti una squadra interessata a lui ci sarebbe: i Washington Wizards. Venire ingaggiati da una squadra dell’NBA è come vincere alla lotteria, quindi ci aspetteremmo che lui faccia i salti di gioia, e si imbarchi a gambe levate sul primo volo per Washington. Invece la questione non è così semplice, perché Washington e Los Angeles distano più di 4.000 km, e quindi se lui firmasse il contratto dovrebbe abbandonare per sempre tutto: famiglia, amici e fidanzata.
Alla luce di questo, Tristan deve fare una scelta difficile: giocare nell’NBA perdendo tutto ciò che ha costruito fino a quel momento, oppure rinunciare al successo per rimanere accanto a tutti i suoi affetti. Cosa sceglierà di fare?
Il motivo principale per cui ho apprezzato così tanto la storia di Tristan è il fatto che sia profondamente realistica. Perché nella vita reale succede davvero che la nostra vita lavorativa finisca per condizionare la nostra esistenza, portandoci a prendere delle decisioni per certi versi vantaggiose, ma anche dolorose dal punto di vista affettivo. Io stesso ho dovuto fare una scelta di questo tipo, quando il lavoro mi portò a trasferirmi dalla sera alla mattina in un paese a 350 km da casa mia. Certo, erano 350 e non 4.000, ma ho comunque avvertito quella sensazione di smarrimento che provi quando ti rendi conto che abiterai in un posto dove non conosci nessuno, e dovrai ricostruire la tua vita da zero. Tristan farà la mia stessa scelta, o invece preferirà rimanere dov’è e continuare la vita di sempre? Non posso dirvelo, naturalmente. Posso soltanto consigliarvi di leggere Million Dollar Boyfriend di Connie Furnari: ne sarete deliziati.

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Una coppia coraggiosa

Il 2016 è stato un anno particolare per me. L’anno prima mi ero trasferito in Liguria per lavoro, e mi ero ambientato benissimo fin dal primo giorno: di conseguenza ero convinto che ci sarei rimasto non dico in eterno, ma per un bel pezzo sicuramente sì. Invece già a Settembre 2016 trovai un altro impiego vicino a casa, tra l’altro a condizioni migliori: in Liguria mi avevano fatto un contratto annuale, in Toscana mi avrebbero fatto un contratto a tempo indeterminato. Di conseguenza dovetti chiamare il mio datore di lavoro ligure per dirgli che non sarei più tornato da lui: fu una telefonata straziante, perché tra di noi si era creato un rapporto di stima e di affetto reciproci, e quindi mai avrei immaginato di doverlo interrompere dopo un solo anno.
A Ottobre 2016 ero tornato a casa da meno un mese, ed ero in una fase contrastante della mia vita. Da un lato c’era la contentezza per aver ottenuto un privilegio che per la mia generazione è diventato più unico che raro (un contratto a tempo indeterminato), dall’altro c’era ancora una fortissima nostalgia per la Liguria. Anzi, devo dirvi la verità: non era una fase contrastante, era una fase triste, perché la nostalgia prevaleva su qualsiasi altro sentimento.
Mentre ero in questa fase, andai al cinema a vedere un film piuttosto originale: Lettere da Berlino. Raccontava la storia vera di 2 tedeschi (marito e moglie) che cercarono eroicamente di opporsi al nazismo. Voi mi direte: di film sul nazismo ne esce almeno uno l’anno, cos’aveva quello di originale? La risposta è molto semplice: non cercava facili trucchetti per attirare in sala gli spettatori. Ad esempio, ad interpretare i 2 coniugi non avevano preso 2 attori belli come il sole, ma un’attrice più brava che bella (Emma Thompson) e un omaccione corpulento e grosso come una montagna, Brendan Gleeson. E’ chiaro che se avessero preso John Travolta e Jennifer Lopez avrebbero incassato molti più dollari, ma non era questo l’obiettivo di quel film: il vero scopo di chi l’ha realizzato era prendere 2 attori che meglio di tutti potessero trasmettere la passione e l’idealismo che animarono quella coraggiosissima coppia. E infatti i 2 attori furono entrambi perfetti, soprattutto Brendan Gleeson.
Dopo aver visto quel film così bello andai a cena in un ristorante vicino al cinema. Ci mangiai divinamente, e fu la degna chiusura di una serata perfetta, la prima sera in cui sono stato bene da quando ero tornato in Toscana. Già dal giorno dopo smisi di pensare alla Liguria: il mio riambientamento a casa era definitivamente completato.
Alla luce di questo, sono STRAFELICE che oggi Brendan Gleeson sia stato candidato all’Oscar. Tra l’altro non me l’aspettavo, perché come vi dicevo prima dal punto di vista fisico è l’esatto opposto dei divi che vediamo sfilare normalmente sui red carpet. Evidentemente il suo talento è così gigantesco che è riuscito a farsi notare comunque dai giurati dell’Academy.
Per quanto riguarda le altre nomination, non ho molto da dire, perché ho visto solo 2 dei film candidati: The Batman e Top Gun: Maverick. Il primo ha strameritato le sue nomination, il secondo invece non mi è piaciuto. Ad essere sincero non avevo apprezzato neanche il primo Top Gun, perché entrambi i film sono strapieni di scene girate in volo, e io le ho trovate tutte di una noia micidiale. Non ho proprio capito l’entusiasmo del pubblico e della critica per questo film, e a mio giudizio rimarrà a bocca asciutta.
E allora chi li vincerà questi Oscar? Beh, sui premi più importanti non ho dubbi: li vince The Fabelmans. Il motivo è molto semplice: Spielberg è già al secondo flop consecutivo, quindi se non fa il pieno di statuette farà molta fatica a trovare qualche produttore disposto a investire sul suo prossimo film. I giurati dell’Academy lo sanno benissimo, e quindi correranno sicuramente in soccorso del loro beniamino.
Per quanto riguarda gli attori, sappiamo bene che di norma l’Academy tende a premiare più il personaggio che l’interprete, e quest’anno ci sono stati i biopic di 2 icone americane come Elvis Presley e Marilyn Monroe: di conseguenza non mi stupirei affatto se a vincere fossero i 2 attori che li interpretano (rispettivamente Austin Butler e Ana de Armas). L’unico che potrebbe soffiare la statuetta ad Austin Butler a mio giudizio è Brendan Fraser, perché l’Academy adora gli attori che si imbruttiscono per un ruolo.
Per quanto riguarda le altre categorie, la mia impressione è che non ci siano stati esclusi eccellenti, né tra i film né tra gli attori. E infatti l’unica polemica è montata per le esclusioni di Viola Davis (The Woman King) e Danielle Deadwyler (Till) dalla categoria miglior attrice, in favore della sconosciutissima Andrea Riseborough (To Leslie). Tuttavia, parliamoci chiaro: quell’Oscar andrà ad Ana de Armas, e quindi poco conta chi sono le altre 4 candidate insieme a lei.
Per quanto riguarda me, come detto tiferò per Brendan Gleeson e per The Batman. Perderò su tutta la linea? Può darsi, ma la notte degli Oscar ha comunque un tale fascino che ti fa piacere seguirla anche quando sai che i tuoi beniamini non hanno grandi chances di vittoria.
E voi? Per quali attori e quali film tiferete alla prossima notte degli Oscar?

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I 10 film più belli che ho visto nel 2022

Che anno è stato il 2022 per il cinema? Sicuramente un anno di rinascita, perché finalmente abbiamo potuto ricominciare a frequentare le sale quando volevamo, senza temere che chiudessero per un nuovo lockdown proprio mentre avevamo in programma di andarci. Nonostante ciò, quest’anno di film ne ho visti proprio pochini (33 in tutto), e questi sono i migliori 10.

10) Una famiglia vincente – King Richard: E’ un biopic molto particolare, perché si focalizza non sulle grandi tenniste Venus e Serena Williams, ma sul loro papà, che ha avuto un’influenza determinante sulla carriera di entrambe. Questa scelta originale ha pagato, dato che il film ha avuto un successo strepitoso sia di pubblico che di critica. Una famiglia vincente – King Richard non è bello come Borg McEnroe, ma si merita comunque un posto in questa Top 10.

9) Songbird: Questo film è una sorta di estremizzazione di ciò che abbiamo vissuto durante il lockdown, perché lo sceneggiatore si immagina un futuro prossimo in cui le regole di contenimento del contagio saranno ancora più dure di quanto non lo siano state durante la prima ondata. In questo contesto distopico si intrecciano le vicende di vari personaggi: uno di essi è la cantante che dà il titolo al film (Songbird significa “uccello canterino”), e curiosamente è anche uno dei personaggi che appare di meno. Riesce comunque a farsi notare, perché è interpretato dalla bellissima Alexandra Daddario (l’attrice nella foto).

8) Memory: I film d’azione con Liam Neeson sono tutti uguali, sembrano fatti con lo stampino. Tuttavia, ogni tanto gli capita di girarne qualcuno più originale e più bello del solito: qualche anno fa aveva fatto centro con Run All Night, quest’anno ha fatto il bis con Memory.

7) Potere assoluto: Da regista il mio film preferito di Clint Eastwood è Million Dollar Baby. Come attore ha raggiunto l’apice in Di nuovo in gioco. Di conseguenza Potere assoluto non è il suo film migliore, né come attore né come regista. E in fondo non vuole neanche esserlo, perché qui Clint Eastwood non voleva realizzare un capolavoro, ma un thriller duro e puro, e ci riesce alla stragrande: guardatelo, non ve ne pentirete.

6) Il divo: Questo film riesce in una doppia impresa: riassumere in pochi minuti la vita di un uomo che ha condizionato 70 anni della storia d’Italia (Giulio Andreotti) e al contempo mettere in luce tutti gli aspetti della sua personalità, uno su tutti un talento innato per le frasi fulminanti. Unico neo: il troppo poco spazio dato ad un’altra figura altrettanto influente, quella di Cossiga.

5) Marry me – Sposami: Per i motivi spiegati qui.

4) Cheerleader per sempre: Fare un film demenziale è molto più difficile di quel che sembra, perché chi lo gira si muove sulla sottile linea che separa il trash divertente da quello irritante e disgustoso. Cheerleader per sempre rientra a pieno titolo nella categoria del trash divertente: guardatelo, vi farà spanciare dalle risate.

3) Il pianista: In linea generale evito i film che durano più di 2 ore. Ritengo che 120 minuti siano più che sufficienti per raccontare una storia, e quindi se un film dura di più è probabile che sia pieno di momenti morti e noiosi. Il pianista è l’eccezione che conferma la regola, perché riesce a mantenere un livello altissimo di qualità dal primo all’ultimo minuto: un vero gioiello.

2) Purple Hearts: Devo dire la verità: quando ho iniziato a vederlo pensavo che mi sarei goduto un film romantico uguale a cento altri. E invece Purple Hearts è molto più di questo, perché riesce a trattare tanti altri temi oltre all’amore, e lo fa sempre in maniera profonda: nessuno stupore che sia stato il film più visto su Netflix per 3 settimane di fila.

1) The Batman: Prima di Nolan i cinecomics erano dei film d’azione senza alcuna pretesa artistica, dopo di lui abbiamo scoperto che era possibile fare arte con la A maiuscola anche parlando di un supereroe. Proprio per questo eravamo convinti che con il Batman di Nolan i cinecomics avessero raggiunto la cima della montagna, e non avrebbero mai più neanche sfiorato quei livelli di qualità. Poi è arrivato un altro Batman, quello di Matt Reeves, e ci siamo dovuti ricredere: forse questo film non ha un cattivo iconico come il Joker di Heath Ledger, ma è destinato a entrare anch’esso nella storia del cinema.

E voi? Avete visto qualcuno di questi film? E quali sono i film più belli che avete visto nel 2022?

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Una vera amica

Burt, Harold e Valerie si sono conosciuti ad Amsterdam durante la guerra. Burt e Harold erano dei soldati, e Valerie era la dottoressa che li ha curati quando si sono infortunati entrambi: dato che erano degli infortuni piuttosto seri, Burt e Harold sono rimasti a lungo ricoverati in ospedale, e hanno avuto modo di stringere con Valerie un’amicizia a 3 più profonda che mai.
Poi la guerra è finita, e i 3 sono tornati in America. Burt e Harold sono rimasti amicissimi, Valerie invece li ha persi di vista: probabilmente perché li associava ad una fase piuttosto brutta della sua vita, e quindi voleva solo dimenticare. Poi però Burt e Harold vengono accusati ingiustamente di omicidio: a quel punto, siccome il vero amico si vede nel momento del bisogno, Valerie riemerge dal nulla, e si batte come una leonessa per trovare il vero colpevole. Ma chi è il vero colpevole? E come farà Valerie a stanarlo?
Come potete vedere, Amsterdam è molto più di un film giallo. Sì, la trama ruota attorno ad un delitto e l’indagine è molto coinvolgente, ma in realtà il film parla di amicizia, e a questo proposito lancia un messaggio splendido: se ci sono i tuoi amici ad aiutarti, niente è impossibile. Con la solidarietà, l’altruismo e la fiducia reciproca, anche l’impresa più disperata ha qualche possibilità di riuscita. Burt e Harold sembrano spacciati, perché tutte le prove puntano contro di loro; tuttavia hanno un’amica su cui contare, e questo cambia tutto, perché non c’è nulla di più potente di qualcuno che si batte per le persone a cui vuole bene.
Questo film sembra fatto apposta per me. Un po’ perché anch’io do un’enorme importanza all’amicizia, un po’ perché una delle mie più care amiche si chiama proprio Valeria (le ho anche dedicato un post anni fa). Tuttavia credo che ognuno di noi si possa identificare in questa storia, perché tutti prima o poi ci siamo fatti in 4 per tirare un amico fuori dai guai, e abbiamo desiderato che qualcuno ci tendesse la mano quando nei guai ci siamo finiti noi. Proprio per questo ho fatto un tifo sfegatato per Valerie, e ho sperato con tutto me stesso che alla fine lei riuscisse a trovare la chiave per risolvere il mistero. Le sue fatiche saranno premiate? Non posso dirvelo, naturalmente. Posso solo consigliarvi di vedere Amsterdam: ne sarete deliziati.
P.S.: E voi? Qual è stata la prova di amicizia più bella che abbiate mai dato o ricevuto?

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8 uomini che hanno cambiato la storia

Se pensate a 5 città degli Stati Uniti, probabilmente nessuna di esse sarà Atlanta. Eppure quella metropoli è uno dei polmoni economici dell’America. E’ sempre stata piuttosto ricca, ma il boom vero e proprio l’ha avuto negli anni 40, per un motivo curioso: a quei tempi ad Atlanta non esisteva nessun sindacato, e quindi gli imprenditori americani, pensando che in quella città avrebbero avuto meno noie con gli operai, cominciarono ad aprire o spostare lì tutte le loro fabbriche (ancora oggi la Coca Cola ha la sua sede legale proprio ad Atlanta).
Ovviamente, quando cominciarono ad aprire tutte queste fabbriche, una gran fiumana di disoccupati americani si fiondò ad Atlanta, nella speranza di trovare finalmente lavoro. Tra quei disoccupati c’erano anche molti afroamericani, e lì cominciarono i guai: infatti Atlanta è situata nel profondo Sud degli Stati Uniti, una delle zone più razziste del mondo, e quindi la popolazione locale non vide certo di buon occhio l’arrivo di tutti questi neri dall’oggi al domani. Perfino il sindaco della città (William B. Hartsfield) disse chiaro e tondo che “La popolazione negra sta crescendo a passi da gigante, e sta rosicchiando sempre più territori ai bianchi di Atlanta”.
Questa difficile convivenza raggiunse il massimo della tensione nel 1948, quando la polizia di Atlanta assunse i primi poliziotti neri nella storia della città. Erano soltanto 8, e avevano dei poteri ristrettissimi: potevano lavorare soltanto nei quartieri neri e non gli era concesso fare indagini, soltanto arresti (a patto ovviamente che tali arresti riguardassero dei cittadini neri: un bianco non potevano toccarlo, neanche se lo vedevano commettere un reato con i loro occhi). 2 di loro (Boggs e Smith) inizialmente accettano senza problemi queste limitazioni: per loro è già un grande risultato e un grande orgoglio poter dire di essere dei poliziotti.
Poi una sera trovano il cadavere di una ragazza nera in mezzo ai rifiuti. Dato che non possono fare indagini, in teoria dovrebbero limitarsi ad informare i loro colleghi bianchi e dimenticarsi dell’accaduto; tuttavia, sapendo che ai loro colleghi bianchi non importa nulla di una ragazza nera morta in un vicolo, decidono di andare oltre i limiti del loro potere, e di mettersi in prima persona sulle tracce dell’assassino. Ma chi è quest’assassino? Chi ha ucciso Lily Ellsworth?
Come avrete capito, La città è dei bianchi di Thomas Mullen è più di un semplice giallo. Sì, la trama ruota attorno ad un delitto e l’indagine è molto coinvolgente, ma il vero obiettivo dell’autore è cogliere il momento esatto in cui l’America comincia a cambiare, passando dalla segregazione totale dei neri alla loro convivenza coi bianchi. Questo processo raggiunse l’apice negli anni 60 con Martin Luther King, ma il primo passo è stato nel 1948, quando la città di Atlanta (paradossalmente una delle più razziste d’America) permise a 8 cittadini neri di indossare l’uniforme della polizia. Partendo da questo fatto storico reale, Thomas Mullen ha scritto un libro dalla trama davvero geniale: leggetelo anche voi, non ve ne pentirete.

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Una scelta difficile

La vita di Kate Middleton cambiò per sempre nel 2001, quando incontrò il principe William. Entrambi avevano appena cominciato l’università, e il destino li aveva fatti finire nello stesso ateneo: William era certamente abituato alla bellezza, eppure notò ugualmente quella giovane ragazza inglese in mezzo a mille altri studenti, e cominciò da subito a corteggiarla. Qualcuno potrebbe pensare che Kate abbia avuto la classica “botta di culo”: io invece penso che abbia avuto in sorte, se non una condanna, quantomeno un fardello molto difficile da sopportare. Infatti, se è vero che accettando di fidanzarsi con William (e successivamente di farci una famiglia) si è assicurata soldi e fama, dall’altro ha dovuto rinunciare per sempre a qualcosa di molto più prezioso: la normalità. Se una donna si frequenta con un vip di altro tipo, come un politico o un calciatore, allora può comunque sperare di fare una vita relativamente normale, e invocare il proprio diritto alla privacy; tutto questo è impensabile se invece ti frequenti con il futuro re d’Inghilterra. A quel punto i paparazzi ti seguiranno in ogni dove, e i giornalisti andranno a scavare in ogni minima piega del tuo passato e del tuo presente. Non solo: se entri a far parte della famiglia reale, poi devi seguire una rigidissima e snervante procedura per fare qualsiasi cosa, quindi dovrai chiedere il permesso e avvisare con largo anticipo anche se vuoi solo andare a fare una passeggiata per strada. Una situazione logorante anche per chi ci convive da tutta la vita, figuriamoci per lei, che fino a quel momento aveva condotto una vita totalmente diversa. Kate Middleton infatti non era una ragazza abituata a navigare nell’oro e a frequentare le grandi metropoli: i suoi genitori erano dei normalissimi dipendenti di un aeroporto, e vivevano con lei e altri 2 figli in un paesino di 2.000 anime (Bucklebury). Passare di punto in bianco da una vita di provincia come questa all’estenuante vita di corte dev’essere stato uno scombussolamento enorme per lei: di conseguenza, se ha deciso di tenere botta e di rassegnarsi a sopportare a vita questo stress, a mio giudizio non l’ha fatto perché è una furbetta che ha visto un’opportunità e ci si è gettata a capofitto, ma perché amava così tanto William da essere disposta a sobbarcarsi tutto questo pur di stare con lui.
Ho pensato a lei quando ho visto un film che praticamente racconta la sua storia a parti invertite: Marry Me – Sposami. Nel film in questione una cantante di fama mondiale (nientemeno che Jennifer Lopez) intraprende una relazione con un uomo totalmente estraneo al mondo dello spettacolo, da lei incontrato casualmente ad un suo concerto. E’ quindi una circostanza molto simile a quella che vi ho descritto prima: tutti lo invidiano perché pensano che abbia avuto un gran colpo di fortuna, lui invece si accorge ben presto di aver firmato la sua condanna, abbracciando uno stile di vita molto meno piacevole di quel che si potrebbe pensare. Come andrà a finire questa storia? Lui saprà sopportare tutto questo per amore, oppure dimostrerà meno coraggio di Kate Middleton e tornerà volentieri a fare una vita normale? Non posso dirvelo, naturalmente. Posso solo consigliarvi di vedere Marry Me – Sposami: vi farà ridere, commuovere e riflettere sull’amore, e quindi vi resterà dentro per sempre.

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Una brava ragazza

Sono un fan di Lodovica Comello. Per chi non la conoscesse, possiamo definirla un’artista a tutto tondo: ultimamente si è dedicata più che altro alla conduzione, ma in passato ha fatto sia l’attrice che la cantante, sempre con ottimi risultati.
Mi piace così tanto che sono andato per ben 2 volte ad un evento che la riguardava. La prima volta fu a Bologna, dove si teneva la première di un suo film (La principessa e l’aquila). Lei si comportò in modo davvero squisito: quando scese dalla macchina, anziché farci un rapido saluto e poi entrare nel cinema, Lodovica si fermò a firmare autografi e scattare foto con noi uno per uno, incurante della fila sterminata che si era formata davanti a lei. Fu lì che capii di trovarmi di fronte ad una persona fuori dall’ordinario non soltanto per il suo talento, ma anche per la sua personalità.
La seconda volta fu a Udine, dove si teneva un suo concerto. Avevo preso il biglietto più vicino al palco, e quindi anche il più caro: ne valse ampiamente la pena, perché quella sera era in forma strepitosa, e quindi mise in mostra tutto il suo talento. Tuttavia, non è tanto per la sua voce o per gli altri suoi talenti che noi fan la apprezziamo così tanto: noi amiamo Lodovica soprattutto per il suo modo di essere, per l’atteggiamento carino e gentile che ha nei nostri confronti, e quindi sul palco lei potrebbe anche stonare 10 volte o cantare Le tagliatelle di nonna Pina, noi la riempiremmo di affetto lo stesso.
Come vedete, ho girato letteralmente mezza Italia per Lodovica Comello, e questo la dice lunga su quanto io la apprezzi. Tuttavia, la mia passione ha dei limiti. Non mi permetterei mai di mandarle un messaggio osceno su Instagram, di appostarmi fuori da casa sua o di attentare alla vita di suo marito: sono insomma un fan equilibrato, che corre a vederla quando ne ha la possibilità, ma fa sempre attenzione a non diventare molesto o inquietante.
Purtroppo però non tutti sanno gestire in modo altrettanto misurato la propria passione per un vip. Le azioni da squilibrato che vi ho elencato prima potranno sembrarvi delle esagerazioni inverosimili, invece non esiste un solo vip al mondo che non abbia avuto un’esperienza di questo tipo. Parlo dei vip veri chiaramente, non quelli che vengono chiamati così solo perché sono apparsi per qualche giorno in un reality.
Kayleigh Towne è stata particolarmente sfortunata in questo senso, perché tra i suoi fan c’è uno stalker da manuale. Purtroppo lei non può fare nulla contro di lui, perché Edwin Sharp è un pazzo, ma un pazzo scaltro: sa benissimo come fare per invadere la vita della sua cantante preferita rimanendo sempre nei limiti del lecito, non facendo mai niente che possa portare a una denuncia o anche solo ad un ordine restrittivo.
Poi le persone intorno a Kayleigh Towne cominciano a morire assassinate, e ovviamente i sospetti si concentrano subito sul suo stalker. Ma la spiegazione è veramente così semplice? E’ stato davvero Edwin Sharp ad ammazzare i membri del suo staff, o qualcun altro ha approfittato della presenza di questo molestatore per fare di lui un capro espiatorio? Non posso dirvelo, naturalmente. Posso soltanto consigliarvi di leggere Sarò la tua ombra di Jeffery Deaver: i suoi colpi di scena vi lasceranno senza parole.
P.S.: E voi? Quali sono i vostri vip preferiti, e qual è la cosa più pazza che avete fatto per loro?

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Un sogno da realizzare

All’interno di un alveare, tutte le api lavorano per l’ape regina: le costruiscono una cella più grande tutta per lei, e riservano a lei la parte più buona del miele (la cosiddetta pappa reale). Tuttavia, l’ape regina deve meritarsi questi privilegi: se si dimostra incapace di comandare l’alveare, a quel punto le api le fanno capire di aver scelto un’altra regina, cominciando a nutrire anche un’altra di loro con la pappa reale. Ovviamente l’ape regina vede come il fumo negli occhi la rivale che cerca di spodestarla, quindi tra le 2 si scatena un duello all’ultimo sangue: chi perde muore, chi vince diventa la leader incontrastata dell’alveare.
Tra gli uomini succede esattamente la stessa cosa. Può capitare che qualcuno venga scelto per ricoprire un ruolo di potere, ma questa persona non deve mai sentirsi arrivata: infatti se comincia a dare segni di squilibrio, a prendere decisioni scriteriate o a trattare male i suoi sottoposti, a quel punto questi ultimi si comporteranno come le api, scegliendo un nuovo leader e cospirando per farlo salire al potere. Queste dinamiche Winning Time le fa capire perfettamente.
Winning Time è una serie tv che si concentra su una delle squadre più forti di tutti i tempi: i Los Angeles Lakers degli anni 80. Se quella squadra è riuscita a entrare nella storia del basket, è stato grazie a una serie di personaggi davvero particolari: il presidente Jerry Buss, un visionario con un grande fiuto per gli affari e una mostruosa fame di vittoria; Magic Johnson, un giocatore pieno di talento e di energia; Kareem Abdul – Jabbar, che con la sua saggezza riusciva sempre a far capire ai suoi compagni qual era la cosa giusta da fare, sia dentro che fuori dal campo.
E poi ovviamente l’allenatore, Pat Riley. Quando Jerry Buss acquistò i Lakers l’allenatore era un altro (Jack McKinney), ma poi successe ciò che vi ho detto prima: Jack McKinney batté la testa in un incidente, a causa di questo perse la lucidità e cominciò a dare segni di squilibrio, inducendo l’intero ambiente dei Lakers a scaricarlo in favore di una nuova ape regina. La scelta cadde su Pat Riley: era un commentatore televisivo senza nessuna esperienza da allenatore, quindi sembrava una decisione molto azzardata, invece si rivelò un leader nato, grazie alla sua naturale capacità di creare un feeling unico con i suoi giocatori.
Oltre ai personaggi, un altro punto di forza di questa serie è l’adrenalina. In ogni singola partita si respira un’atmosfera epica, e quando si arriva a quelle più importanti le puntate diventano così avvincenti che ti sembra di essere in campo anche tu, a sudare insieme ai Lakers e a pregare che ogni loro tiro si infili nel canestro. E quando la partita va in pausa, tu vai avanti con il telecomando saltando l’esibizione delle cheerleaders, perché vuoi sapere il prima possibile come andrà a finire.
Come avrete capito, Winning Time è una serie corale, in cui viene dato spazio a tanti personaggi molto diversi tra loro. A seconda del proprio carattere, ogni spettatore tenderà ad identificarsi con un personaggio diverso, e quindi a seguire la storia da un diverso punto di vista: io mi sono identificato soprattutto con Kareem Abdul – Jabbar, perché mi ritrovo nella sua volontà di aiutare i suoi compagni, standogli accanto nei momenti difficili e dandogli dei consigli su come uscirne. Era un capitano perfetto per i Lakers, e la sua grandezza umana vi porterà a fare per lui un tifo smisurato. Riusciranno lui e i suoi compagni a vincere la NBA, o il loro resterà soltanto un sogno? Non posso dirvelo, naturalmente. Posso soltanto consigliarvi di vedere Winning Time: ne sarete deliziati.

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Ti amo ancora Nova

Da molti anni viviamo in una sorta di gigantesco fast food. Intendo dire che, così come al McDonald’s avrai i tuoi panini 5 minuti dopo averli ordinati, allo stesso modo la nostra società è diventata così veloce che adesso siamo abituati a ottenere tutto e subito. Se devo comprare qualcosa, lo ordino su Amazon e il corriere me lo porta nel giro di 3 giorni; se ho bisogno di orientarmi, vado su Google Maps e scopro all’istante che percorso devo fare e tra quanto sarò a destinazione; se ho necessità di contattare qualcuno, gli scrivo su Whatsapp e lui potrebbe rispondermi subito anche se fosse dall’altra parte del mondo.
Tuttavia, esistono ancora dei traguardi per i quali dobbiamo aspettare a lungo, e anche sudare tanto. Ad esempio, per vincere il campionato di basket dell’NBA una squadra deve giocare prima le 82 partite della stagione regolare, poi una decina di partite per i playoff e infine altre 5 o 6 per le finali. E anche se superi tutti questi ostacoli e arrivi in fondo alla centesima partita, non hai nessuna garanzia che tutti i tuoi sacrifici siano serviti a qualcosa: infatti nelle finali NBA c’è sempre una squadra che vince e un’altra che perde, e tu puoi solo sperare di finire dalla parte giusta della barricata.
Tutto questo Maddox Lee lo sa bene, perché sta lottando per vincere l’NBA con i Golden State Warriors. E’ un giocatore perfetto per queste occasioni, perché ha la rara capacità di rimanere lucido anche quando è sotto pressione. L’importanza della partita, l’incitamento o l’ostilità del pubblico, la stanchezza fisica e mentale sono dettagli che possono mandare in crisi i suoi compagni, ma non lui: Maddox rimarrà sempre freddo e concentrato, qualsiasi cosa succeda.
I suoi compagni lo apprezzano molto per questa sua dote, e anche lui vuole molto bene a tutti loro. Proprio per questo non ha ancora trovato il coraggio di dargli la notizia: comunque vada a finire il campionato, quelle potrebbero essere le sue ultime partite con i Golden State Warriors. Vuole lasciare una delle squadre più forti dell’NBA per andare a giocare in una delle più deboli, una squadretta che non ha mai vinto un campionato in oltre trent’anni di storia: i Charlotte Hornets.
In questa scelta c’è di mezzo la sua ex ragazza, Nova. Quando si sono lasciati 6 anni prima, Maddox e Nova erano entrambi dei ragazzi normalissimi; poi lui è diventato un campione dell’NBA, lei invece fa la cameriera in un bar vicino allo stadio dei Charlotte Hornets. Quando Maddox lo scopre comincia a organizzare in gran segreto il suo trasferimento in quella squadra, pur sapendo che potrebbe essere tutto inutile: infatti lui e Nova si sono lasciati malissimo, e quindi non è affatto detto che la sua vecchia fiamma voglia ancora saperne di lui…
Come vedete, in questo romanzo c’è una suspense pazzesca. Il lettore vuole sapere come andrà a finire il campionato NBA, la trattativa per il trasferimento di Maddox ai Charlotte Hornets e soprattutto il suo tentativo di riconquistare Nova, la sola ragazza che lui abbia mai amato. Riuscirà a trasferirsi vicino a lei? E se anche ci riuscisse, cosa si diranno? Lei lo amerà ancora? Non posso dirvelo, naturalmente. Posso soltanto consigliarvi di leggere Twenty – Four Seconds di Debora Ferraiuolo: ne sarete deliziati.

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