Una ragazza speciale

Nel 2016 ho trovato un lavoro a tempo indeterminato. Avendo raggiunto il traguardo della stabilità lavorativa ad un’età relativamente giovane, poi ho passato gli anni successivi senza avere mai nessuna reale ambizione, nessun obiettivo per cui lottare. Questo da un lato mi faceva sentire fortunato, ma dall’altro mi dava l’impressione che alla mia vita mancasse qualcosa. Più precisamente, mi mancava quell’adrenalina che senti in corpo quando insegui qualcosa in cui hai riposto tante aspettative e tante speranze. Adesso dopo tanti anni sono tornato a lottare per un obiettivo: per scaramanzia preferisco non dire di cosa si tratta, ma al di là di questo il fatto di essermi rimesso in gioco mi ha fatto riprovare l’eccitazione febbrile di cui vi parlavo prima, ed è una sensazione bellissima.
Proprio nel periodo in cui ho preso la decisione di gettarmi in questa nuova avventura mi è capitata sotto gli occhi una serie tv in cui potevo identificarmi perfettamente, Sing again. Parla di una ragazza che cerca di diventare una cantante: in questo suo progetto i suoi familiari non la ostacolano affatto, anzi la incoraggiano, perché anche loro sono dei grandi appassionati di musica (e infatti l’hanno chiamata Piano).
Se ho apprezzato così tanto la storia di Piano non è soltanto perché lei come me ha un sogno da realizzare, ma anche perché ci fa capire quanto siamo fortunati: infatti Sing again è ambientato in Thailandia, ed è un paese molto più povero rispetto all’Italia. Ad esempio, in una scena fanno vedere la protagonista che rimane sbigottita davanti a un macchinone, e l’automobile in questione non è una Ferrari o una Lamborghini, ma una (per noi) normalissima Hyundai.
Inoltre, proprio perché per loro anche una Hyundai è una macchina troppo costosa, i thailandesi vanno in giro sempre a piedi. E quei piedi non calzano delle scarpe, ma delle ciabatte a infradito: infatti in Thailandia perfino le scarpe sono un bene di lusso, e quindi vengono indossate solo per le occasioni speciali.
Il bello è che, pur essendo ambientato in una realtà così povera, Sing again non diventa mai squallido o deprimente. Al contrario, è una serie incantevole, perché quando la protagonista si mette a comporre ci dà modo di assistere alla magia della musica che prende forma, partendo dagli spunti più banali e arrivando poi a livelli elevatissimi di qualità.
Inoltre, mette in luce un aspetto davvero commovente dei thailandesi: proprio perché sono poveri, capiscono che l’unico modo per sopravvivere è fare gioco di squadra, e quindi si aiutano tutti tra di loro. E infatti nel suo tentativo di sfondare Piano viene appoggiata non solo dai suoi familiari, ma anche dai suoi amici e dai suoi vicini di casa. Nessuno la ostacola, la scoraggia o le dice che sta inseguendo un sogno irrealizzabile: magari dentro di sé lo pensano che difficilmente diventerà la Jennifer Lopez della Thailandia, ma finché c’è anche solo un 1% di possibilità che questo avvenga loro non gettano la spugna, e fanno tutto ciò che possono per spingere Piano verso il successo. Un tempo anche in Italia era così, poi diciamo che la situazione è un po’ cambiata.
Come vedete, Sing again è una serie tv così ricca che è difficile dire quale sia l’argomento principale. Parla di musica, di altruismo, di sogni da realizzare… più in generale parla della vita, e lo fa con una passione che ti conquista ad ogni episodio. Puntata dopo puntata ti viene da fare un tifo sempre più sfegatato per Piano, e speri con tutte le tue forze che alla fine il suo sogno possa diventare realtà. Piano riuscirà a sfondare? Non posso dirvelo, naturalmente. Posso soltanto consigliarvi di aprire Netflix e guardare Sing again: ne rimarrete deliziati.

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Chi l’avrebbe mai detto?

Qualche anno fa andai al cinema a vedere Gangster Squad. Quel film era uno dei tanti tentativi di riportare sulla cresta dell’onda un genere (il noir) che è andato fuori moda addirittura da 80 anni, e che periodicamente qualche regista prova a rivitalizzare. Come in tutti i noir, in quel film c’era una bellona ad interpretare il ruolo della femme fatale: allora non avrei mai potuto immaginare che la bellona in questione avrebbe fatto strada, passando da un ruolo di contorno come quello al vincere il secondo Oscar a 35 anni.
Come avrete capito, l’attrice a cui mi riferisco è Emma Stone, e il premio che ha vinto stanotte è stata l’unica vera sorpresa di questa notte degli Oscar: infatti sembrava scontata la vittoria di Lily Gladstone per Killers of the Flower Moon. Emma Stone era nettamente sfavorita, sia perché aveva già vinto, sia perché questa era un’occasione irripetibile di premiare per la prima volta un’indiana d’America, quindi anche dal punto di vista politico Lily Gladstone sembrava la candidata ideale. Onestamente questo colpo di scena non mi è piaciuto: Emma Stone era già l’attrice più lanciata di Hollywood, quindi per lei questo premio non era poi così fondamentale; Lily Gladstone invece è in quella delicata fase in cui potrebbe esplodere come potrebbe anche cadere nel dimenticatoio, e quindi un Oscar avrebbe fatto un’enorme differenza per la sua carriera.
A mio giudizio se hanno deciso di premiare Emma Stone è stato un po’ perché Povere creature! è piaciuto molto alla critica, un po’ perché negli ultimi anni l’Academy ha sviluppato un’evidente antipatia nei confronti di Scorsese. Quest’anno Killers of the Flower Moon ha totalizzato 10 nomination e zero statuette; nel 2020 era successa la stessa identica cosa con The Irishman; prima ancora un capolavoro come Silence aveva raccolto la miseria di una nomination minore, e ovviamente zero statuette anche in quel caso. Insomma, è evidente che Scorsese da molto tempo a questa parte non piace più alla critica, e purtroppo anche il pubblico lo sta abbandonando, dato che Killers of the Flower Moon ha incassato meno di quanto è costato. Va detto che lui se l’è andata a cercare, perché i suoi ultimi 2 film durano entrambi più di 3 ore, e quando sfidi la pazienza degli spettatori fino a questo punto è inevitabile che ti vengano dietro in pochi.
Per quanto riguarda le altre premiazioni, mi dispiace molto per il mancato Oscar a Mark Ruffalo. Mi consolo pensando che se non altro è stato battuto da un altro ottimo attore, Robert Downey Jr. Io gliel’avrei dato già ai tempi di Spider – Man: Homecoming, perché già in quel film era emersa la sua capacità di bucare lo schermo anche con pochi minuti a disposizione. Ma ovviamente, siccome era un cinecomic, l’Academy non lo prese neanche in considerazione.
Un altro grande artista che è stato finalmente premiato è Christopher Nolan. Il suo Oppenheimer ha vinto entrambi i premi più importanti (miglior film e miglior regia), quindi è evidente che questo film è piaciuto da impazzire all’Academy. Di norma quando una casa di produzione capisce di avere per le mani un film da Oscar lo fa uscire a ridosso delle nomination, così rimane più impresso nella testa dei giurati e ha più possibilità di venire premiato; se invece un film esce mesi e mesi prima, quando i giurati dell’Academy arrivano a decidere le nomination e le vittorie se lo sono già scordato, e quindi rischia di rimanere a bocca asciutta. Nel caso di Oppenheimer non è successo niente di tutto questo: il film è uscito addirittura a Luglio 2023, ma l’Academy se l’è ricordato benissimo, e gli ha assegnato ben 7 statuette. Evidentemente è uno di quei film che lasciano il segno, e ti rimangono in testa anche molto tempo dopo che li hai visti. Io non l’ho visto, ma tifavo per Christopher Nolan, quindi sono contento che abbia vinto.
E voi per chi tifavate? E cosa ne pensate di queste folli premiazioni?

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Vi racconto la mia storia

Il mese prossimo saranno 10 anni esatti che mi sono laureato. Ricordo benissimo come mi sentii dopo quel traguardo: da un lato ero contento per com’era andata, dall’altro ero preoccupato, perché avevo ottenuto una laurea poco spendibile nel mercato del lavoro, e quindi rischiavo seriamente di rimanere disoccupato. Ero così determinato ad evitare questa fine che cominciai a mandare il mio curriculum in tutta Italia, finché alla fine non trovai un impiego a 350 km da casa mia. Insomma, la mia fase di limbo tra la fine dell’università e l’ingresso nel mondo del lavoro durò poco, ma ricordo benissimo l’angoscia che ho provato in quei momenti: è l’angoscia logorante di chi vive una situazione di incertezza, e non può prevedere in nessun modo quando finirà.
Anche Yuki sta provando questa sensazione. E’ un ragazzo al termine del suo percorso universitario, e prima ancora di laurearsi ha già cominciato a fare i primi colloqui di lavoro. Essendo un ragazzo molto altruista, il suo sogno sarebbe quello di fare un mestiere che gli permetta di aiutare il prossimo in qualche modo, ma per iniziare gli andrebbe bene qualsiasi cosa, anche lavorare in una fabbrica di orologi.
E’ anche un tipo molto organizzato, perché tra lo studio e i colloqui di lavoro riesce a trovare del tempo anche per i suoi amici. Frequentano tutti l’università con lui, e hanno un modo tutto loro di comunicare: hanno comprato un quaderno, lo hanno piazzato in una delle loro aule universitarie, e hanno stabilito che ogni volta che a qualcuno di loro succederà qualcosa di importante lo racconterà agli altri scrivendolo su quel quaderno. E’ una sorta di gruppo Whatsapp su carta, e in effetti a quei tempi (la storia di Yuki è ambientata nel 2004) era proprio così che funzionava la comunicazione non verbale: si prendeva carta e penna e si scriveva nero su bianco. Gli sms erano roba per ricconi, perché costavano 10 centesimi l’uno (e se superavi i 150 caratteri il messaggio te lo facevano pagare doppio).
Tra tutti gli amici che scrivono su quel “quaderno collettivo”, la scrittrice più dotata è una ragazza di nome Sae. Lei non parla bene perché è sorda, quindi per lei quel quaderno è provvidenziale, perché le permette di esprimere per iscritto tutti i pensieri che non può comunicare a voce. Yuki rimane molto colpito dai suoi messaggi, e comincia lentamente a innamorarsi di lei. Tuttavia, Sae ha un bel caratterino, quindi non sarà facile corteggiarla senza dire o fare qualcosa che la irriti…
Ci sono molti motivi per cui ho apprezzato la storia di Yuki e Sae. Innanzitutto il protagonista maschile: è il classico bravo ragazzo, l’amico e il figlio che tutti noi vorremmo avere. Poi la protagonista femminile: chi l’ha creata ha avuto il coraggio di tratteggiare un personaggio disabile non totalmente positivo, con gli stessi difetti di una persona normodotata. Sae è orgogliosa, irascibile e melodrammatica, nel senso che tende ad avere una reazione esagerata anche per le sciocchezze più irrilevanti: paradossalmente questo non la rende odiosa agli occhi degli spettatori, anzi fa nascere in loro un forte senso di solidarietà, perché è evidente che si comporta in maniera così rabbiosa non per cattiveria, ma perché non ha ancora accettato di essere diversa dagli altri. Yuki lo ha capito, quindi cerca con pazienza di aiutarla a tirare fuori anche tutto il buono che c’è in lei, e che traspare chiaramente dai messaggi che scrive.
La serie Netflix che racconta la storia di Yuki e Sae si intitola Orange Days. Il titolo fa riferimento ad un altro piccolo rito degli amici di Yuki: prima di andare a lezione passano davanti al giardino di un signore, rubacchiano qualche arancia dal suo albero e poi corrono verso l’università prima che lui li colga in flagrante. Come dice il titolo, per Yuki quelli dell’università erano “i giorni delle arance”, ovvero i giorni in cui viveva così libero e spensierato che il problema più grosso che potesse capitargli era venire beccato a rubare un’arancia. Tutti noi abbiamo nostalgia di quel periodo, ed è anche per questo che ho adorato così tanto questa serie tv. Guardatela anche voi: ne rimarrete deliziati.

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Provaci ancora Margot

10 anni fa andai al cinema a vedere Tutto può cambiare. Avevo capito fin dal trailer che era un film valido, ma non avrei mai creduto di venire travolto da così tanta meraviglia. Non ho mai pianto per un film, né prima né dopo di allora, ma in quell’occasione mi successe per ben 3 volte. Piansi anche mentre tornavo a casa, ripensando a tutte le emozioni che avevo provato durante la visione. E il bello è che Tutto può cambiare non è affatto un film triste: piansi perché ero commosso dalla sua bellezza.
Se quel film è venuto così bene, buona parte del merito è del suo attore protagonista, Mark Ruffalo. In quel film ha sfoderato tutta la sua simpatia, e ha dato vita ad uno dei miei personaggi preferiti in assoluto.
Alla luce di questo, sono STRAFELICE che oggi Mark Ruffalo sia stato candidato all’Oscar come miglior attore non protagonista. Tuttavia, sono consapevole che probabilmente non lo vincerà, perché Robert Downey Jr. è favoritissimo. Sembrano annunciati anche gli Oscar al miglior attore e alla miglior attrice: il primo andrà a Cillian Murphy, il secondo a Lily Gladstone. Quest’ultima in particolare ha la statuetta già in mano, perché per blindare la sua vittoria l’Academy ha escluso fin dalle nomination l’unica che poteva darle filo da torcere (la Margot Robbie di Barbie). Esorto quest’ultima a riprovarci, perché stramerita l’Oscar fin dai tempi di Suicide Squad, e a mio giudizio l’Academy non potrà ignorarla in eterno.
A proposito di Barbie, non comprendo l’indignazione che si è scatenata sui social per il fatto che questo film sia stato escluso da alcune categorie importanti (non solo miglior attrice, ma anche miglior regista). Al contrario, secondo me il vero scandalo è che abbia ottenuto 8 nomination, perché è uno dei peggiori film che abbia mai visto. Non è neanche quel trash divertente in stile Blood Out, bensì quel trash così imbarazzante che ti viene da vergognarti tu per chi l’ha realizzato.
Casomai il popolo dei social avrebbe dovuto indignarsi per la mancata nomination di Ridley Scott. Questo regista ci regala un capolavoro dietro l’altro da oltre 40 anni, ma per motivi misteriosi l’Academy l’ha sempre snobbato: stavolta per essere sicuro di venire premiato Ridley Scott ha fatto un film che fonde i 2 generi più amati dall’Academy (il biopic e il film storico), eppure niente da fare, il suo Napoleon ha ottenuto solo il misero contentino di 3 nomination minori. Non ho visto il film, quindi può darsi che non sia sullo stesso livello di altri suoi gioielli come The Counselor e House of Gucci, ma a questo punto mi viene il sospetto che l’Academy lo snobbi a prescindere. Potrebbe fare anche il film più meraviglioso nella storia del cinema, e i giurati dell’Oscar troverebbero comunque il modo di negargli la statuetta.
Stesso discorso per Bradley Cooper, anch’egli volutamente escluso dalla nomination come miglior regista. In compenso è stato candidato come miglior attore e miglior sceneggiatore, e in quest’ultima categoria ha qualche possibilità di vittoria. Sarebbe anche l’ora, considerato che nella sua carriera ha racimolato 12 nomination e 0 vittorie.
Barbie non è stato l’unico film a raccogliere meno nomination del previsto: ha fatto ancora peggio il remake de Il colore viola, che di candidature ne ha ottenute solo una. Il film originale ne prese 11, e questo la dice lunga su quanto sia stato clamoroso il flop di questo film. A mio giudizio se l’Academy l’ha ignorato così tanto è proprio perché si tratta di un remake. Ormai la critica e il pubblico non ne possono più di sequel, prequel, remake, reboot e tutti gli altri termini con cui vengono indicate le rimasticature di roba già fatta: abbiamo tutti una gran voglia di aria fresca, di idee mai viste prima. E’ uno dei motivi per cui il grande pubblico si sta spostando in maniera sempre più netta dai film alle serie tv: perché il mondo delle serie tv è un vulcano di creatività, in cui puoi trovare ogni mese tantissime storie nuove di zecca. Se andate in un cinema a 10 sale, probabilmente tutti e 10 i film in programmazione saranno una scopiazzatura più o meno dichiarata di un altro film del passato; se invece andate sull’homepage di Netflix, vi troverete davanti agli occhi decine di serie tv una più originale dell’altra. Capite bene che non c’è paragone.
Spero che non ci sia paragone neanche tra Io capitano e gli altri candidati come miglior film straniero: non tanto per il film in sé (che non ho visto), ma perché sarebbe davvero una bella notizia se il cinema italiano venisse ricoperto d’oro alla notte degli Oscar.
Forse non ci avete fatto caso, ma non ho ancora fatto una previsione su chi agguanterà le statuette più prestigiose (miglior film e miglior regista). Ebbene, secondo me le vincerà entrambe Oppenheimer, per il motivo che vi dicevo prima: l’accoppiata biopic + film storico è esattamente ciò che serve per lusingare i giurati dell’Academy. Se la mia previsione si rivelasse corretta, vincerebbe l’Oscar un altro “snobbato seriale”, ovvero Christopher Nolan: onestamente trovo che sia molto peggiorato da Dunkirk in poi, ma sono molto affezionato ai film che ha fatto prima di allora, e quindi una sua vittoria mi farebbe molto piacere.
Tirando le somme, io tiferò per Christopher Nolan, Mark Ruffalo, Bradley Cooper e Io capitano. Non posso dire molto di più, considerato che dei film candidati ho visto solo Barbie. E voi? Per quali attori e quali film tiferete alla prossima notte degli Oscar?

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I 10 film più belli che ho visto nel 2023

Che anno è stato il 2023 per il cinema? Per quanto mi riguarda un anno di pausa, nel senso che ho guardato pochissimi film per concentrarmi soprattutto sulla lettura. Pensate che in tutto il 2023 ho visto soltanto 36 film: questi sono i migliori 10.

10) Una notte da leoni: Fare un film demenziale è molto più difficile di quel che sembra, perché chi lo gira si muove sulla sottile linea che separa il trash divertente da quello irritante e disgustoso. Una notte da leoni rientra a pieno titolo nella categoria del trash divertente: guardatelo, vi farà spanciare dalle risate.

9) Diabolik chi sei?: Tra tutti i cinecomics che ho visto negli ultimi anni, Suicide Squad e Venom sono di gran lunga quelli che mi sono piaciuti di più. Diabolik chi sei? non sfigura in confronto ad essi, anche se rispetto al primo film si sente la mancanza di un’attrice che mi fa venire gli occhi a cuoricino ogni volta che la vedo (Serena Rossi).

8) The Mother: Nello splendido Run All Night Liam Neeson ha dimostrato che non è necessario avere i muscoli di Arnold Schwarzenegger per fare un film d’azione. Di conseguenza in The Mother anche Jennifer Lopez si è cimentata in un ruolo “Arnoldesco”, a mio giudizio con ottimi risultati.

7) The Ward – Il reparto: Avevo deciso di vedere questo film per la presenza di Sydney Sweeney (l’attrice nella foto). In un certo senso sono rimasto fregato, perché lei fa soltanto un cameo. Nonostante ciò, il film mi è piaciuto molto.

6) Blue Beetle: Il 2023 verrà ricordato come l’anno della morte dei cinecomics. Non si contano più i film di supereroi che hanno fatto flop, da The Flash a The Marvels. Anche Blue Beetle è stato totalmente ignorato dal pubblico, ma a me è piaciuto.

5) Paradise City: Questo è un film evento, perché ha riunito John Travolta e Bruce Willis 30 anni dopo Pulp Fiction. Inoltre, a dirigerli c’era Chuck Russell, che ci ha regalato tanti ottimi film (da The Mask a L’eliminatore). Con queste premesse Paradise City non poteva venire brutto, e infatti a me è piaciuto da impazzire.

4) 20th Century Girl: Da 3 anni a questa parte la Corea del Sud è il paese con meno nascite al mondo. Per risolvere questo problema il governo di quel paese ha trovato una soluzione davvero geniale: produrre una marea di serie tv e film romantici, nella speranza che gli spettatori scoprano quanto è bello l’ammore e comincino ad accoppiarsi come conigli. 20th Century Girl fa parte di quest’originale filone di “propaganda amorosa”, ed è l’ennesima conferma che i coreani sanno parlare di amore in maniera più profonda e coinvolgente che mai.

3) Ti mangio il cuore: La sensualità straripante di Elodie buca lo schermo, e quindi è perfetta per il cinema. Il regista di Ti mangio il cuore se n’è accorto, e infatti le ha affidato un ruolo da protagonista in quest’ottimo film.

2) Creed III: Stallone è il mio mito da quand’ero bambino. Questo è il primo film della saga di Creed in cui non appare, ma la storia funziona benissimo lo stesso, ed è una scarica di adrenalina pazzesca dal primo all’ultimo minuto.

1) Mixed by Erry: Un film che racconta in modo esilarante un’incredibile storia vera: non vi dico nulla di più per non rovinarvi il piacere della visione.

E voi? Avete visto qualcuno di questi film? E quali sono i film più belli che avete visto nel 2023?

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Non la dimenticherò mai

Giovedì 5 Ottobre ho preso un treno che andava da Pisa a Genova. Appena sono entrato nella mia carrozza ho visto una ragazza che piangeva: le ho chiesto che cosa fosse successo, e lei mi ha spiegato il motivo in inglese. Lei stava camminando per Pisa con i suoi compagni di viaggio, e siccome era l’unica ad avere con sé una valigia pesante tutto il gruppo era costretto a procedere a passo di lumaca per colpa sua: di conseguenza i suoi amici si sono spazientiti e le hanno detto “Vai per conto tuo, ci rivediamo sul treno per Genova”. Poi quando il treno è partito lei si è resa conto che i suoi amici l’avevano perso, e quindi si ritrovava a dover viaggiare da sola in un paese che non conosceva: questo l’aveva fatta andare nel panico, e si era sfogata piangendo.
Io l’ho rassicurata dicendole che è meglio stare soli che male accompagnati: infatti i suoi amici erano stati decisamente cafoni a lasciarla da sola soltanto perché rallentava il gruppo, e quindi ben gli stava che loro avessero perso il treno e lei no. Lei ha sgranato gli occhi, come se avesse realizzato solo in quel momento quanto fossero stati cattivi i suoi amici: questo mi ha fatto capire che mi trovavo davanti ad un’anima così pura da non saper riconoscere il male neanche quando se lo trova davanti in tutta la sua evidenza.
Dato che parlo bene l’inglese, sempre per tranquillizzarla ho cominciato a chiacchierare con lei, e ho scoperto che questa ragazza aveva alle spalle una storia molto interessante. Era un’ebrea nata e cresciuta a New York, ma negli ultimi 5 anni è vissuta in Israele; poi ha deciso di tornare a New York, un po’ perché Israele non le piaceva, un po’ perché aspira ad entrare nel mondo del cinema, e da questo punto di vista l’America è il posto migliore in assoluto. Prima di tornare a New York ha deciso di fare una vacanza in Europa con i suoi amici: erano partiti dall’Italia, la tappa successiva era la Francia, e una volta lì avrebbero deciso se proseguire a Ovest verso la Spagna o a Est verso la Germania.
Voi mi direte: lei tra poco se ne torna a New York, tu invece abiti in Italia, quindi avrai perso interesse per questa ragazza. E invece no: anche se ero consapevole che di lì a poco si sarebbe trasferita definitivamente dall’altra parte del mondo, Lihi era così bella dentro e fuori che ho continuato a tenerle compagnia fino a quando siamo arrivati a Genova. Inoltre, prima di separarci ci siamo scambiati il numero di telefono, l’indirizzo e – mail e il profilo Instagram: come vedete le ho chiesto tutti i contatti che mi sono venuti in mente, perché ci tenevo a restare in contatto con lei.
2 giorni dopo in Israele ci sono stati gli attentati terroristici di Hamas. Lei li ha evitati perché era partita solo pochi giorni prima, e quindi in pratica la decisione di fare una vacanza nel nostro paese le aveva salvato la vita. Ovviamente le ho subito scritto per chiederle se i suoi cari stavano bene: lei mi ha risposto che i suoi parenti erano tutti al sicuro, ma tra i suoi amici e conoscenti c’erano state diverse vittime. Poi ho virato la discussione verso argomenti più leggeri, e ne è venuta fuori un’altra chiacchierata molto piacevole.
Onestamente non so come andrà a finire questa mia conoscenza con Lihi. Forse smetterà di rispondermi molto presto. Forse continuerà a rispondermi quando la contatto, ma non ci vedremo più in vita nostra. Poi c’è l’ipotesi più bella ma anche più improbabile, quella per cui non solo continueremo a sentirci, ma troveremo anche il modo di rivederci (come è successo con Elisa). In ogni caso è stato uno di quegli incontri folgoranti in cui scatta da subito un feeling particolare, ed è per questo che ho tentato in ogni modo di dargli un seguito, anche quando lei mi ha dato la notizia scoraggiante per cui tra poco se ne torna a New York.
Anche a Lucky è capitato un incontro così. Mentre era in un bar ha conosciuto una donna, hanno bevuto insieme e poi hanno proseguito la serata a casa di lui. Prima di separarsi lui le ha detto che frequenta quel bar ogni Lunedì e Mercoledì, nella speranza che lei si ripresentasse lì per un secondo appuntamento. E invece Sunny non è mai più tornata in quel bar, facendogli capire che per lei era stata soltanto l’avventura di una notte. Lucky è un campione di football, quindi se volesse potrebbe rimpiazzarla con tutte le donne che vuole; invece si è fissato proprio su Sunny, e vuole a tutti i costi riallacciare i rapporti con lei. Riuscirà a rincontrarla? E anche ponendo che ci riesca, lei avrà voglia di stabilire con lui una vera relazione?
Se ho apprezzato così tanto Lucky di Carina Adams è perché racconta una situazione profondamente realistica. Come testimonia la mia esperienza con Lihi, a molti di noi capita di incontrare casualmente qualcuno che ci colpisce per qualche motivo, e da quel momento nasce in noi la volontà fortissima di mantenere vivo il rapporto con quella persona, di fare in modo che non si dimentichi di noi da lì a poco. Io di sicuro non mi dimenticherò mai di Lihi, e neanche di questo libro: è uno di quei romanzi che ti restano dentro per sempre.
P.S.: E a voi è mai capitato un incontro così folgorante?

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Scoprirò la verità

Non ho mai avuto intuito nel giudicare le persone. A prima vista mi sembrano tutte a posto, e soltanto se fanno qualcosa di clamorosamente sbagliato comincio a pensare che forse hanno un’indole squilibrata o malvagia. Mia madre invece ha una vista a raggi X: se chi le sta davanti ha qualcosa che non quadra, lei lo fiuta all’istante, e non sbaglia mai.
Talvolta ci risulta così difficile cogliere la natura malevola di una persona non solo perché pochi hanno un intuito infallibile come quello di mia madre, ma anche perché alcuni sanno nascondere benissimo la propria vera personalità. Hanno un carattere socievole, una faccia sorridente e la battuta sempre pronta, e tutti questi elementi ti ispirano simpatia e fiducia; tuttavia, in realtà non è affatto detto che a questi pregi corrisponda un’effettiva nobiltà d’animo. Anzi, la vita mi ha insegnato che più una persona cerca di presentarsi come brillante e spigliata, più è probabile che lo faccia per camuffare un’indole marcia fin nel midollo.
Questo è esattamente il caso dei coniugi Harris. Nella mentalità comune gli anziani sono inoffensivi e gli insegnanti sono saggi e assennati: di conseguenza i coniugi Harris, essendo entrambi dei professori in pensione, vengono reputati le persone più innocue e limpide sulla faccia della terra. Inoltre, loro hanno un atteggiamento sempre cortese e alla mano, e questo rafforza la convinzione generale che siano più affidabili che mai.
Quest’impressione non potrebbe essere più sbagliata, perché sono una coppia di serial killer. Il loro modus operandi è sempre lo stesso: osservano chi passa abitualmente davanti a casa loro, e una sera gli chiedono di aiutarli a risolvere una finta emergenza. La vittima vedendo che sono 2 anziani si precipita ad aiutarli, e a quel punto loro lo attirano in casa propria per poi ucciderlo.
Sono furbi non solo nel modo di presentarsi, ma anche nella scelta della vittima: è sempre qualcuno che era in cattivi rapporti con la famiglia o comunque insoddisfatto della propria vita, quindi agli occhi della polizia è verosimile che possa aver deciso di allontanarsi volontariamente. Inoltre, le vittime sono molto diverse tra loro e tra le loro sparizioni passa sempre un lungo periodo di tempo, quindi è difficile capire che sono collegate. In pratica l’unico collegamento è la zona in cui sono sparite, ma è un legame così debole che nessun poliziotto lo ritiene significativo.
Poi un giorno la madre di una ragazza scomparsa decide di assumere un’investigatrice privata, Holly Gibney. A differenza della polizia, lei capisce che quell’unico collegamento tra le vittime potrebbe essere la chiave per risolvere il mistero, quindi si mette fin dall’inizio sulla pista giusta. Ma anche i coniugi Harris non sono degli stupidi, e appena si accorgono che Holly è sulle loro tracce cominciano subito a preparare le contromosse…
Generalmente i gialli sono di 2 tipi: quelli in cui l’assassino rimane sconosciuto fino alla fine e quello in cui invece è noto fin dal principio. In quest’ultimo tipo di gialli si innesca una vera e propria partita a scacchi tra lui e il detective, e l’interesse sta nel capire come farà quest’ultimo ad incastrare un avversario apparentemente inafferrabile. Chiaramente non posso dirvi se e come i coniugi Harris verranno incastrati. Posso solo consigliarvi di leggere Holly di Stephen King: vi lascerà a bocca aperta.

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Misteri e segreti

Ognuno di noi sogna di vivere in un Paradiso in terra. Nel nostro immaginario collettivo quel Paradiso è formato non solo da una bella casa, ma anche da una bella macchina, un bel quartiere, dei vicini simpatici e tutti i comfort possibili e immaginabili.
Alice e Jack l’hanno trovato davvero un posto così: è un paesino in mezzo al deserto dove il mondo sembra essersi fermato agli anni 50, e i residenti sembrano far parte di un’unica grande famiglia. Inizialmente sono entrambi entusiasti di essersi trasferiti lì; poi però Alice comincia a notare che qualcosa non quadra. In primo luogo, da quelle parti tutto sembra ruotare intorno a un solo uomo: Frank possiede l’unica industria nei dintorni, dà lavoro a tutti gli abitanti del paese e ognuno di loro sembra considerarlo il suo migliore amico. Non è un semplice imprenditore, sembra più il leader di una setta.
Inoltre, Alice nota che qualsiasi fatto spiacevole viene ostinatamente rimosso e negato. Ad esempio, un giorno lei vede con i suoi occhi una donna che si suicida buttandosi da un tetto, ma quando ne parla con i suoi compaesani tutti insistono a dire che è caduta accidentalmente mentre puliva una finestra.
Infine, Alice nota che le coppie sposate di quel paesino si sono conosciute tutte allo stesso modo. Tutte le mogli avevano preso un treno per Boston, a tutte quante è caduto il biglietto per terra e un gentiluomo si è chinato a raccoglierlo al posto loro: poco dopo quel gentiluomo è diventato il loro marito.
Quando tutte queste stranezze cominciano ad accumularsi, Alice capisce che quel paesino non è affatto un Paradiso in terra, e inizia a indagare per venire a capo di tutti i suoi misteri. Ma qual è la chiave di questi misteri? Cosa sta succedendo da quelle parti?
La trama del film Don’t worry darling non è del tutto originale. Anzi, possiamo dire che per molti versi ricalca quella di The Truman Show: anche lì infatti il protagonista viveva in un mondo apparentemente paradisiaco, ma poi comincia a notare delle incongruenze e scopre tutto il marcio che si nasconde dietro quella finzione di cartapesta. Tuttavia, anche se per 3/4 della sua durata il film scopiazza spudoratamente The Truman Show, poi nell’ultima parte se ne distacca, spiegando le stranezze notate da Alice in maniera diversa, e tirando fuori un colpo di scena davvero geniale. In che cosa consiste? Non posso dirvelo, naturalmente. Posso solo consigliarvi di vedere Don’t worry darling: vi lascerà a bocca aperta.

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Un amore contrastato

Da 3 anni a questa parte la Corea del Sud è il paese con meno nascite al mondo. Per risolvere questo problema il governo coreano ha trovato una soluzione davvero geniale: produrre una marea di serie tv romantiche, e programmarle a getto continuo su tutti i canali disponibili. In questa maniera gli spettatori più e meno giovani scoprono quanto è bello l’ammore, gli viene voglia di provarlo anche in prima persona e appena spengono il televisore vanno subito in cerca dell’anima gemella.
Queste serie tv sono state create con il solo scopo di indurre i coreani ad accoppiarsi come conigli, ma sono fatte talmente bene che hanno fatto innamorare il mondo intero: infatti Netflix le ha caricate quasi tutte sulla propria piattaforma, facendo scoprire a tutti il meraviglioso mondo dei k – drama e facendoli diventare un fenomeno mondiale.
Tra tutti i k – drama presenti su Netflix, il più bello in assoluto è senza dubbio Venticinque e ventuno; tuttavia, anche Something in the rain è davvero qualcosa di speciale.
Questa serie tv parla di un ragazzo di 25 anni (Jun-hui) che si innamora di una donna di 35 (Jin-a). Nella società occidentale questo non sarebbe un problema, perché da noi una 35enne viene vista ancora come una ragazzina; nella società coreana invece una donna di quell’età è considerata una vecchia decrepita, e quindi nessuno capisce come faccia questo ragazzo a trovarla attraente.
Anche la madre di lei disapprova la relazione: infatti in Corea il marito ideale deve avere un bel pacco di soldi, e quindi il povero Jun-hui, pur essendo un bravissimo ragazzo, viene visto come un cattivo partito perché è un semplice programmatore di videogiochi.
Tuttavia, i 2 si amano così tanto che decidono di portare avanti la loro storia d’amore nonostante tutti questi ostacoli. Ed è proprio questo che ci permette di identificarci così profondamente in loro. Perché a molti di noi è capitato di non piacere ai genitori o agli amici della persona che amavamo, magari per motivazioni stupide come quelle che ho appena citato: quando ci siamo trovati in quella situazione abbiamo pregato che l’altra persona non si facesse condizionare da chi provava a mettere zizzania, e avesse la forza di restare con noi a dispetto di tutti. Jun-hui e Jin-a questa forza la dimostrano in ogni episodio: questo ti porta a fare per loro un tifo sfegatato, e a sperare con tutto te stesso che alla fine il loro amore trionfi su ogni avversità. Andrà così? Non posso dirvelo, naturalmente. Posso solo consigliarvi di vedere Something in the rain: ne sarete deliziati.

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Un’amicizia speciale

Oggi se dobbiamo comunicare con qualcuno gli mandiamo un messaggio su Whatsapp. Tuttavia, un tempo le cose non erano così semplici, soprattutto se la persona che volevi sentire abitava fuori città: non potevi telefonarle perché le chiamate interurbane costavano un occhio della testa, e anche comunicare via messaggio era costoso, perché spendevi 10 centesimi per ogni sms che inviavi. Di conseguenza, l’unico modo per non perderla di vista era prendere carta e penna e scriverle una lettera. Io l’ho fatto molto spesso da giovane, e infatti in casa ho un cassetto pieno di tutte le lettere che ho scambiato con le amiche e i piccoli amori della mia giovinezza. E’ molto bello per me rileggerle a distanza di tempo, perché mi fanno riaffiorare degli episodi che avevo totalmente rimosso, e mi aiutano a capire meglio il ragazzo che ero allora, quali erano le sue priorità, le sue passioni, il suo carattere e quanto di lui è rimasto in me oggi.
Purtroppo ho perso di vista quasi tutte le persone con cui ho scambiato quelle lettere. Ma grazie alla mia decisione di conservarle una parte di loro è ancora qui con me, e quindi il tempo che loro mi hanno dedicato non è andato sprecato, ne è rimasta una traccia che io non disperderò mai.
Anche Ryen ha vissuto un’esperienza come la mia. Fa la cheerleader nel suo liceo, quindi è una delle ragazze più belle e popolari della scuola; tuttavia, questo ruolo è anche una dannazione per lei, perché molti credono che le cheerleader siano delle ragazze belle ma frivole, capaci soltanto di ridacchiare tra di loro e fare gli occhi dolci agli atleti più bravi. L’unico ragazzo che la ritiene speciale è Misha: l’ha conosciuto molti anni prima, quando la sua maestra delle elementari assegnò a ciascuno dei suoi alunni un amico di penna (scelto a caso tra i bambini di un’altra scuola). La loro amicizia epistolare è partita così, ed è proseguita fino agli anni del liceo. Dato che Ryen e Misha vivono in un mondo pre – social, non si sono mai visti di persona, e quindi non sanno neanche che faccia abbia l’altro: a Ryen va benissimo così, perché Misha è forse l’unica persona che sia attratto dalla sua bellezza interiore, e non dal suo bel faccino o dal suo fisico da cheerleader.
Poi un giorno Misha smette di scriverle. Lei inizialmente non si preoccupa, perché tra i 2 è sempre stata lei quella che scriveva di più; poi però i mesi passano, Misha continua a non farsi sentire, e a quel punto Ryen capisce che dev’essere successo qualcosa di grosso. Ma cosa è successo a Misha? E come farà lei a scoprirlo?
Come potete vedere, Punk 57 di Penelope Douglas è un romanzo molto avvincente. Il lettore muore dalla voglia di sapere cosa è successo a Misha, e soprattutto non vede l’ora che arrivi il momento del fatidico incontro tra lui e Ryen: io non ci ho dormito la notte, perché anche dopo cena mi mettevo a divorare una pagina dietro l’altra nella speranza di arrivare il prima possibile a quel punto. Come andrà quell’incontro? Non posso dirvelo, ovviamente. Posso soltanto consigliarvi di leggere Punk 57: ne sarete deliziati.

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